Frati Minori Cappuccini
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CAP. XV

Della seconda parte delle Pratiche, la quale è la meditazione.

La seconda parte della pratica è la meditazione. E questa parte comunemente è la piu lunga, per dar materia sufficiente all'animo da trattenersi. Ed è distinta in vari punti, per aiutare la memoria ed acciocchè di punto in punto ella si vada gustando; perchè essa è come un pasto ed i punti sono come bocconi, i quali ad uno ad uno si devono bene masticare, per cavarne il succo e il frutto.

Sono molti i frutti della meditazione, per i quali merita che da noi ella sia strettamente abbracciata ed affettuosamente esercitata. Il primo è un gran lume che se ne riceve delle cose divine; ed ivi s'apprendono chiaramente i misteri della nostra fede e s'intendono le sacre scritture, perchè nella meditazione si raccoglie il saporoso succo di quelle e della sacra Teologia.

Ed in questo viene l'intelletto a conseguire la sua perfezione. Inoltre si tiene occupata la mente nelle cose divine e le si toglie, per conseguenza, il discorrere delle cose umane o mondane. E questo quanto importi, lo sa chi lo prova.

Di più lo spirito riceve gran diletto; perchè le cose sacre sono come lo zucchero, che porta seco il dolce, oltre quel comune diletto che si ha nella cognizione d'ogni sorte di verità, tanto umana quanto divina.

E questo speciale diletto trattiene l'uomo all'orazione e fa che volentieri vi ritorna, e questo pure ancora assai importa. Da questo e dal precedente effetto ne nasce il quarto, ch'è di perdere a poco a poco l'amore ai beni temporali; perchè l'esperienza dimostra che l'uomo, occupandosi intorno solamente ad una cosa, vi mette tanto amore che non sa mai nè pensare, nè parlar d'altro, e il cuor suo sta ivi tutto affisso.

Ma se piglia un'altra occupazione, non pone più alla prima tant'affetto. Però, fin che si pensa alle cose divine, il senso mondano s'indebolisce; perchè in quel mentre non riceve nutrimento dai suoi oggetti, e il non mangiare toglie le forze. Onde, chi in tutto il privasse di questi suoi cibi, morirebbe, a maggior conforto e vita dello spirito. E mentre si contemplano le cose sacre, si chiude l'occhio al senso; onde ne segue che anche il suo appetito si raffrena, perchè quello che l'occhio non vede il cuore non brama.

Occupati adunque, carissimo, nelle sante meditazioni, se vuoi a poco a poco perdere l'amore del mondo, con infinito tuo guadagno. In quinto luogo, la meditazione serve per legna d'accendere il fuoco affettuoso nella volontà. Perchè, meditando noi qualche mistero sacro, sempre vi ritroviamo dentro qualche efficace motivo che ci sprona e ci muove a far qualche atto virtuoso con l'affetto; come sarebbe di temere, desiderare, amare, rallegrarsi, ringraziare, sperare, dolersi, imitare, compatire o simili. E questo è l'intento principale, per il quale si fa la meditazione.



CAP. XVI.

Dell'azione, che è la terza parte delle Pratiche.

Irrigata la nostra volontà dalla sacra meditazione, produce in se medesima, col vigore dello Spirito Santo, due effetti molto utili e dolci. Questi sono: gli affetti e gli atti. Gli affetti sono: amore, speranza, gaudio, tristezza desiderio, e simili. Gli atti sono: volere, non volere, proporre, offerire, chiedere, lodare, ringraziaziare, e simili.

E quantunque si sia posto l'amore fra gli affetti, egli nondimeno si deve anche fra gli atti collocare. Perchè il nome di amore importa prima un desiderio ardente di unirci con la cosa che amiamo; come l'anima innamorata di Dio di quest'amore languisce, per unirsi a lui, come confessa nei Cantici la sposa, e allora l'amore è un affetto.

Importa poi un atto di volontà, col quale liberamente vogliamo bene a qualcuno, come l'anima, che ama Iddio, gli vuol bene, cioè vuole e si compiace ch'egli abbia quel suo bene divino, ch'è l'infinito pelago di ogni perfezione. Ed amando il prossimo, vogliamo ch'egli abbia il bene della divina grazia e Iddio stesso, o anche qualche bene temporale. E l'amore di questa sorte è atto.

Nascono ordinariamente gli affetti dagli atti, come se io amo una cosa s'io la possiedo o ella ha quel bene ch'io le voglio, ne nasce il gaudio; e se non l'ha o io non la posseggo, ne nasce la tristezza.

Nascono poi tutti gli atti da l'amore, perchè la prima operazione che faccia la volontà nostra è di amare. Da l'amore ne segue l'odio, perchè s'ha in odio quel che è contrario alla cosa che amiamo, e di poi tutte le altre azioni. Di maniera che l'amore è la radice di tutti i movimenti della volontà nostra.

Perciò tutta la diligenza dell'uomo deve essere a regolare bene l'amore; perchè, s'egli è ben regolato, è buono tutto quello che ne nasce, e si chiama carità, come dice Sant'Agostino; dalla quale come da radice vengono, come dice san Gregorio tutte le buone operazioni; s'egli è mal regolato, è cattivo tutto quel che ne viene, e chiamalo Sant'Agostino cupidità.

Le sacre meditazioni son quelle che proponendo alla volontà il vero bene con infiniti motivi, e il suo contrario parimenti, l'eccitano all'amore santo e puro, e così a tutti gli altri suoi movimenti retti e buoni. E questo è quanto s'insegna a far nell'azione, che è la terza parte delle pratiche.

E perchè da una meditazione si possono cavare diversi movimenti affettivi, sia affetti, come atti, ognuno avrebbe a cavarne quelli che fossero più propri alla sua condizione ed alla disposizione nella quale si trova quando prega (quando non fosse mosso dallo Spirito Santo più a una che all'altra, perchè si deve seguir sempre il tratto dello spirito, quando si conosce). Agl'incipienti convengono più i movimenti del timore, del dolore, del chiedere perdono, del desiderio di emendare la vita. Ai proficienti, quelli della speranza, del desiderio di fare del bene assai e di andare innanzi nelle virtù, e la preghiera a Dio per questo.

Ai perfetti, quel dell'amore e del desiderio ardente di maggiormente amare. Onde, nel meditare la passione di Nostro Signore, i primi si hanno ad eccitare alla compassione ed alle lagrime; i secondi, all'imitazione delle virtù di Cristo; i terzi, a corrispondere a quell'amore che l'ha mosso a patire. Nell'azione delle pratiche si sono posti quegli atti e affetti ch'erano più comodi e propri per dare il corpo e l'ordine a quelle. Ma chi prega, deve più fermarsi, e istendersi in quelli che ritrova più accomodati alla sua disposizione.

E siccome nella meditazione si deve tenere l'intelletto molto attento, così nell'attenzione si deve tener l'affetto molto ardente, perchè devono i suoi movimenti esser molto vivi ed efficaci, essendochè questo è il frutto dell'orazione.

A questo fervore ed efficacia serve il ponderare bene e ruminare sottilmente il mistero che lo produce, e muoversi la mente tutta insieme verso quell'affetto, guardandosi sopratutto di non distrarsi in quel punto in altre cose, perchè ciò troppo l'intiepidirebbe. E quando non si sente l'uomo quell'ardore che vorrebbe, può eccitare in sè un altro fuoco, cioè un desiderio grande di avere cotale ardore, aggiungendone preghiera istantissima alla Maesta Divina onde glielo conceda.

E questo singolarmente far si deve nel movimento dell'amore, il quale quantunque sembri proprio dei perfetti, conviene però a tutti gli stati delle persone, perchè l'accrescimento della carità è il profitto della giustizia cristiana, come dice Sant'Agostino.


CAP. XVII.

Delle operazioni appartenenti all'orazione e specialmente del proponimento.

Fra i movimenti affettivi, gli atti sono i principali, perchè da quelli nascono gli affetti (benchè talora anche gli affetti partoriscono gli atti). Però bisogna farne particolare considerazione e dare modo di farli.

Sono di due sorta questi atti. Vi sono quelli che s'hanno a fare allora appunto, quando si sta pregando; e vi sono quelli che s'hanno a fare fuori dell orazione. I primi, sono principalmente questi cinque: Proponimento, Offerta, Lode, Ringraziamento, Preghiera ed Amore.

Gli altri sono l'esecuzione di quelli che ci si è proposto di fare nell'orazione. E di questi secondi non voglio dir altro, se non che si deve forzare l'uomo di mettere in opera quel che ha promesso a Dio nell'orazione; e se manca, si emendi e ne abbia dolore; con tutta quella cautela che può, stando su l'avviso e vegliando alla custodia di se stesso; perchè, facendo altrimenti si infiacchisce l'anima e le si toglie l'ardire di far più proponimenti quando ritorna all'orazione, rimanendo confusa, per non donare mai a Dio quel che gli promette.

Ma degli atti che si fanno pregando, si hanno da dare regole particolari. Devi dunque sapere che il proponimento nasce nell'anima, dal vedere, meditando, il grande obbligo che ha di far bene.

E quanti sono i beni che siamo obligati di fare, a tanti s'estende il proponimento; perchè l'anima infiammata per le meditazioni, o altri atti ed affetti, vorrebbe allora fare e patire gran cose; e non essendo quello il tempo di ciò fare, delibera di farlo quando sarà opportuno e le verrà occasione. Quest'operazione interna di propositi s'ha da far prima, con tutta quella efficacia che sia possibile, deliberandosi la persona risolutamente di fare e dire. Ma però, non iscordandosi la propria debolezza, ha da temere; guardandosi cautamente che in tal proponimento non entri qualche mistura di presunzione; come facilmente accade a coloro i quali non sono molto esperimentati.

Per gli inesperti, quando si sentono nell'orazione accesi, par loro che debbano trovarsi sempre in quella disposizione; ma gli esperti hanno per prova conosciuto che facilmente si raffredda quell'incendio, e che quando si viene all'operare, a pena molte volte si ricordano i buoni proponimenti.

Però quando si fanno, bisogna porre in Dio tutta la nostra speranza; fidandoci solamente del suo aiuto, perchè disse il Signore: «Ogni pianta che non sarà del Padre celeste piantata, si sradicherà». E quanto vi sarà di fiducia in noi nel proponimento, tanto, nello osservarlo, vi sarà di mancamento; e solo tanto di osservanza quanto di fiducia in Dio. Bisogna anche avvertire che gli spirituali stessi rimangono bene spesso ingannati; perchè, credendo essi di fidarsi solo in Dio, occultamente sono infetti o tocchi dal fidarsi di sè; di che n'è segno certo il cadere dai buoni propositi, e non far quel che abbiamo risoluto e promesso di fare.

Si avrà poi avvertimento di non aggiungere a cotali proponimenti voto alcuno; perchè l'anima, quando è calda e tocca da presunzione, facilmente si lega con promesse e voti, che poi raffreddata se ne pente. I voti si voglion fare con lunga e maturata deliberazione, e, s'è possibile con consiglio di persone intelligenti o Padri spirituali. Non si può già vietare che al proponimento non si aggiunga qualche promessa, perché ciò è bene e ragionevole di fare; ma con avvertenza però, e protesta di non far voto nè obbligarsi più di quel che siamo obbligati per natura del fatto; ma tal promessa si fa per esercitarci più ad allargare il cuor nostro avanti a Dio, dandogli tutto quello che possiamo.

Di più, per un'altra regola di quest'operazione, deve, chi prega, essere avvertito che quando occorra che non abbia osservato i proponimenti fatti nell'orazione, tutto che se ne debba dolere grandemente, non si deve però confondere troppo, nè diffidare della grazia di Dio, ne per terra gettarsi, perchè quantunque ciò paia buono, nasce però (se si consideri la cosa sottilmente) da presunzione e superbia occulta. Perchè colui il quale conosce la sua miseria, quando cade in qualche imperfezione, se ben se ne duole, non però si dispera ma dice: io sapevo che da me altro che questo nascere non poteva. Confidati dunque nella grazia di Dio, e spera che, se non te l'ha data questa volta, te la darà un'altra, se lo pregherai con istanza e di lui solo ti fiderai, usando però ancor tu la tua diligenza. Con tal umiltà e fiducia seguirai nell'orazione a fare i tuoi proponimenti.


CAP. XVIII.

Della seconda operazione, che è l'offerta.

Dopo il proponimento segue l'offerta, la quale è un' operazione molto simile al proponimento; ma in ciò è differente, che in quello deliberiamo di operare noi, in questa ci offriamo a Dio, onde di noi faccia quel che gli piace.

Poichè la creatura che si conosce tutta di Dio, si perchè l'ha creata, si perchè l'ha redenta (oltre gli altri innumerabili benefici, per i quali se mille volte all'ora ella si desse a Dio, gli resterebbe ancora infinitamente obbligata), liberamente si mette nelle mani di Dio, pronta e desiderosa ch'egli ne faccia il suo santo beneplacito; cosa a Dio molto grata ed a lei molto utile, perchè il beneplacito divino è d'infinito giovamento a chi volontariamente lo segue.

Però questa offerta si vuol far di buon cuore, e non in parole o apparenza, ingannando noi stessi: come fanno alcuni che si offeriscono a Dio anche a patire le pene dell'inferno, i quali, se interrogassero bene il cuore loro, troverebbero che quelle offerte sono di ciancie e non vere e da buon senso; perchè quei tali non sono neppure disposti a sopportar una parola ingiuriosa per amor di Dio.

Esamini ben adunque l'animo suo chi offre a Dio se stesso e le cose sue.

Ricerchi quanto con verità offerisce, e se è davvero pronto a sopportar con animo costante. E se si trova tepido nel far cotale offerta, serbando per sè molte cose, s'aiuti con la considerazione dell'obbligo che ha di darsi tutto a Dio, rendendosi pronto a ciò che Iddio vorrà far di lui, quantunque fosse a lui di gran tormento e confusione.

E quando sentirà il senso contradire a tal offerta, lo reprima e con la libertà dello Spirito faccia di sè a Dio larga e libera offerta. Che se pur non ti trovi di tant'animo di offerirti così in tutto a Dio, non esser almeno tentatore a te stesso mettendoti delle tentazioni avanti, le quali ti facciano cadere.

Ma tieni quest'ordine: al principio offerisciti solo in generale nelle mani di Dio, che di te faccia il suo volere. Crescendo poi il lume e la forza, vieni al particolare, offerendoti al suo volere, quantunque avessi a patir fatica e pena, senza però esprimere quale.

E secondo che andrà crescendo la cognizione e il vigore, andrai facendo a Dio l'offerta più ampiamente discendendo più al particolare; di volere, cioè, che Iddio faccia di te il suo benedetto volere, quantunque tu avessi a patir tale e tale fatica, tale e tale pena, come perdita di roba, di onore, di sanità, di amici, di figliuoli ed altre simili particolarità; e potresti a poco a poco venire a tanto che ti troveresti pronto anche a patire l'inferno, quanto alla pena solo, se ciò fosse possibile e a Dio piacesse.

Che se prima che tu venga a questa perfezione, ti scorresse la mente a considerare delle durezze alle quali non ti trovi apparecchiato, sii cauto dall'una e dall'altra parte; per non offerirti a quello al quale non sei disposto, per non mentire a Dio cui non vuoi dare tutto quello che sei obbligato. Ma in tal caso prendi questi rimedi: il primo è, se non speri che tu possa col pensare ben l'obbligo tuo, inchinar l'animo a fare seriamente questa offerta, discaccia tal pensiero, nè lo lasciar per modo alcuno fermare nella tua mente, perchè è una tentazione che ti vuole fare cadere in peccato, o almeno in gran diffidenza di Dio.

E se discacciato ritorna, discaccialo di nuovo; e a quanti altri pensieri egli vuol ricondurti, volendoti persuadere che tu offendi Iddio in ciò, chiudi la porta, occupandoti in altri atti o meditazioni; avendo tu per certo, che piace a Dio che così in tal caso tu faccia.

L'altro rimedio è di dire fra te stesso: se ben ora io non mi trovo apparecchiato a patire tali cose, confido nondimeno nella bontà di Dio, che se permetterà che tali cose mi avvengano, mi darà anche la fortezza onde sopportarle per amor suo; però non voglio lasciare di offerirmi a Dio liberamente, in tutto quello che gli piace.

L'altro rimedio è di convertire l'offerta in desiderio e preghiera, il che si fa in questo modo. Ti dice il pensiero: - Se bisognasse patire tale disgrazia e rovina per servizio di Dio, che faresti?... - Grida il senso e la carne inferma: - Io non sono apparecchiata. - Tu dì subito: - O beato me, s'io avessi tal fortezza!... O quando sarò io mai cotanto forte?... - E così accenderai in te il desiderio di aver questo vigore e animo costante: e subito prega Iddio che te ne faccia degno. E fatto questo, puoi dopo fare l'offerta in questo modo: - Signore, vorrei piacerti in ogni modo e che tu di me liberamente facessi quel che ti piace; ma non mi sento gagliardo a sopportare cotale pena o travaglio; me ne incresce, perchè bramo interamente essere tuo, come è dovere.

Non tanto mi dispiace quella pena o perdita, quanto io temo che s'ella mi venisse addosso, te offenderei con l'impazienza mia; però ti prego che da me la tenga lontana, insino a tanto che mi darai virtù di sopportarla. E se pur vuoi che ella mi avvenga, dammi la grazia della costanza, e eccomi tutto tuo. - Non temere che Iddio non aggradisca questa offerta, ancor che paia cosi riservata e diminuita, perchè ove manca la larghezza e prontezza supplisce l'umilta, virtù a Dio non meno grata.


CAP. XIX.

Del lodare e ringraziare Iddio.

Il lodare e benedire Iddio è un' altra operazione affettuosa, nascente dalla meditazione, la quale volontieri deve esercitare chi prega; perchè ella è molto propria dell'orazione e fa l'uomo simile agli angeli, i quali in cielo sempre benedicono Iddio; e siccome ella è molto nobile così anche è molto fruttuosa.

Essa ha due parti: una è lode semplice, l'altra è ringraziamento. Si loda Iddio delle sue grandezze le quali ha in sè, o che manifesta nei suoi effetti creati: come ch'è sommamente buono, potente, sapiente, glorioso e di infinita maestà; le quali eccellenze ha dichiarato creando, governando, restaurando il mondo e facendo molte altre segnalate operazioni.

Si ringrazia per i benefici fatti alla creatura. E perchè ben spesso con la stessa operazione, e ha manifestato le sue virtù, e a noi ha fatto gran bene (come nell'incarnazione ha scoperto a noi mirabilmente il suo amore, la sua misericordia e tutte l'altre sue degnissime eccellenze, e ci ha salvati), così si può quella stessa operazione prendere per motivo di lodare e di ringraziare; perché il meditare quell'opera divina eccita in noi l'una e l'altro di quei due atti affettivi. Anzi non v'è operazione alcuna divina, nella quale Dio faccia beneficio a noi, che non scopra le sue interne virtù; onde sempre che lo ringraziamo, possiamo ancora lodarlo.

Quello facciamo perchè ha fatto bene a noi, questo perchè facendo bene a noi, ha dimostrato quanto è buono. E può l'animo contemplante con un bello e dolce giro ritornare al ringraziamento, e da quello di nuovo rivolgersi alla semplice lode; perché lodato che avrà Iddio della bontà sua, la quale a noi ha scoperta comunicandola, può la mente, rivolgendo l'occhio della considerazione, vedere che oltre il bene concedutoci in quell'opera, ci ha fatto un'altro bene, dichiarandoci il suo; perchè ci ha dato un motivo di amarlo e di lodarlo, cosa a noi molto utile.

Questo moverà l'animo nostro a ringraziarlo; perchè quantunque facesse bene ad altri e non a me, in questo nondimeno fa bene ancora a me; poichè è bene mio grandissimo che io conosca Iddio e le virtù sue, e quelle massimamente che mi eccitano ad amarlo, lodarlo e ringraziarlo. Quindi si sale alla semplice lode, considerando che tanto è la sua bontà, che non solo coi benefici, quali direttamente fa a noi, ma con quelli ancora che fa agli altri, ci giova.

E poichè è tale e tanta la sua bontà, non merita che da noi sia lodato? E questo girare della lode al ringraziamento si può fare quando si vuole, e vi si trova gusto; perchè la materia in se non ha mai fine, essendo che quanto più si loda Iddio tanto più l'anima riceve utile, perchè il lodare è opera di gran merito.

Di che dobbiamo ringraziarlo. E quanto più bene riceviamo tanto più conosciamo e gustiamo la sua bontà, la quale richiede lode e benedizione. Così possiamo uscire all'una e all'altra di queste azioni; ma dobbiamo uscire a quella a cui più ci sentiamo eccitati e tratti dalla meditazione o dal movimento dello Spirito Santo.

Gli imperfetti sono ordinariamente più disposti al ringraziamento, perchè non essendo ancora in tutto spogliati dell'amor proprio, gustano meglio quel che in loro utile ritorna; e però i benefici li movono più efficacemente.

I perfetti, come solo di Dio innamorati, più della sua gloria si compiacciono; onde il lodarlo più vivamente innalza il loro cuore. Onde anche si conosce apertamente che il lodare è di sua natura più nobile atto e più perfetto, e così di maggior merito che non sia il ringraziare.

E questo massimamente quando ha per motivo eccitante la grandezza di Dio. Onde hai da sapere che questo atto nasce da due motivi.

Il primo è la considerazione delle virtù divine in se considerate e a noi dichiarate, le quali da te conosciute e pensate eccitano l'animo tuo a benedirlo ed onorarlo; perchè l'onore è una riverenza che altrui si fa in testimonio della sua virtù.

Il secondo è il tuo bisogno, che dovendo tu domandare a Dio qualche grazia o il perdono dei tuoi peccati, prima lo magnifichi con titoli di bontà e di misericordia, al cui ricordo Egli è proprio far grazia; usando questa lode come per addurre la ragione perchè Iddio ci debba esaudire. E quanto è necessario questo motivo nell'orazione, tanto è più perfetto il primo.

Onde perchè questo è ordinato alla domanda, pregando si deve esser breve in quello. Ma perchè quell'altro si fa per se medesimo, in esso s'ha da fermare la mente quanto più può, affinchè in fin della meditazione si senta accesa a quella. Onde s'accadesse che mettendosi l'anima a lodare Iddio col secondo motivo, ella si sentisse infiammata alle divine lodi per se stessa, cioè perchè lo merita, salendo dal secondo motivo al primo, segua il movimento di quella fiamma in sin che dura.

Questo secondo motivo del lodare si trova parimenti nell'atto del ringraziare, perchè chi da una persona brama ottener benefici, la ringrazia dei già ricevuti; e se ne ha da dare la stessa regola che abbiamo data nell'esercizio del lodare.

Ma il primo e proprio motivo del ringraziamento è l'obbligo che abbiamo con Dio per gl'innumerabili benefici che ci ha fatti. Anzi non solo per quei che ci ha fatti, ma per quelli che ci ha voluto fare e che sono mancati soltanto per colpa nostra, perchè abbiamo loro posto impedimento; come quando Dio chiama un uomo alla perfezione ed egli, non obbedendo alla vocazione, non la consegue.

E sarebbe stato l'uomo nel Paradiso terrestre con tanti beni, s'egli non se ne fosse reso indegno. Sebbene dunque non abbiamo conseguito cotanti beni, non è però meno doveroso il non cessare di lodar Iddio; poichè quanto a lui, egli ce li ha concessi, e tutto il mancamento è stato il nostro.

All'ultimo, per dare perfezione a questi due atti, devi esser avvertito che quando ti senti vinto dalla considerazione che la bontà di Dio e i suoi doni sono maggiori della lode, e quanto più ti sforzi di fare il debito tuo tanto più ti vedi andare di sotto e perdere, per modo di dire, la battaglia, domanda aiuto a tutte le creature, non solo ragionevoli ed intellettuali, ma irragionevoli ancora ed insensate; ed invitale tutte a benedire e ringraziare Iddio con te, come facevano Davide e i tre fanciulli nella fornace.

Di più piglia quante lodi hanno a Dio dato i Santi e gli Angeli, e ancora daranno; offeriscigliele tutte insieme. Oltre a ciò desidera che ogni creatura abbia infinite lingue onde benedir Iddio come egli ti benedice.

E quando con tutto questo sforzo ed apparato ti sentirai ancora vinto dalla bontà divina, rallegrati di avere un Dio, la cui bontà sia tanto grande; e riposati in pace, nel seno di questa grande bontà, e dormi dolcemente, nè ti rincresca istenderti in questa operazione che ora ti ho insegnato, perchè ella è di gran frutto e molto grata a Dio.
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