Provincia di S. Carlo Borromeo in Lombardia - It |
Documenti e Testimonianze |
Formato HTML - Worderfect 6.0 |
Il secondo modo è formare da noi medesimi le parole, secondo il desiderio e concetto già formato nell'animo, come quando uno prega instantemente per i suoi bisogni, e la necessità grande e il desiderio gli somministrano concetti e parole; e questo modo parmi di sua natura migliore del primo, perchè si accosta ancora più al modo di pregare mentalmente, essendo che nell'orazione mentale, alcuna volta, l'impero del fervore interno fa prorompere in parole; come del Serafico Padre S. Francesco si legge, che tutta una notte pregando disse: Signor mio, Signor mio, chi sei tu, e chi son io?
La mentale parimente si può fare in due modi, il primo dei quali è di andare con l'animo discorrendo sopra qualche orazione vocale con l'aiuto e ricordo di quei concetti mentali; come abbiamo ancora del Padre Serafico, il quale andò una volta da Perugia ad Assisi ed occupò il tempo di tutto quel viaggio in dire, solo una volta, il Pater noster. Questo modo chiamo io piuttosto mentale che vocale, massime essendo che si può fare senza esprimere parole.
L'altro modo è di far atti interiori senza l'istrumento, o materia dell'orazione vocale, o scritta, ma
da se stesso compiendo atti dell'intelletto e della volontà, secondo le regole che l'uomo avrà a se
prefisse o secondo che sarà mosso dallo Spirito Santo. E questo è il modo del quale si son date
moltissime regole per i devoti libri; le quali regole io intendo porre in pratica, acciò siano più
facilmente intese ed osservate. Dirò nondimeno prima due parole a dimostrare quanto questa
maniera sia utile e quasi necessaria, acciò più volontieri sia presa ed abbracciata.
Alcuni consumati e perfetti. I primi, sentendo lodare l'o razione mentale, s'accendono del desiderio di farla; ma quando si pongono per farla, non sanno come principiare.
E quantunque nei libri si diano i modi e le regole, difficilmente però si usano; sia perchè quelle sono generali e pochi sanno applicare l'universale al particolare; sia perchè molto diversi sono i modi che si danno nei libri, avendo dato uno le regole ad una foggia e l'altro all'altra. Talchè la persona non sa quale scegliere. Oltre che difficilmente ci ricordiamo quel che abbiamo letto nei libri spirituali, di sorte che, quando n'abbiamo bisogno, non ce ne possiamo servire.
Senza alcun dubbio dunque questi tali, quando si mettono per far orazione, s'avessero chi loro indicasse quel che allora devono fare, da qual parte dar principio, con che mezzo proseguire e con qual termine conchiudere la loro orazione, insegnando loro in particolare di far prima quest'atto e poi quello, e così di mano in mano, l'avrebbero molto caro. E questo fa chi mette in pratica le regole, come qui faremo.
I proficienti, per esser già esercitati ed avendo gusto all'orazione, non pare che abbiano tanto bisogno di cotali pratiche; ma pure è certo che per lo più s'hanno a faticare, e spesso si trovano aridi; e pensando d'entrare, come tal volta fanno, a gustar i divini misteri, si trovano serrate le porte. Allora conviene loro, o trattenersi di fuori con l'orazione vocale o bussare importunamente se forse loro fosse aperto. Ma se loro non è aperto, facilmente fatti languidi, giacciono in terra oziosi ed accidiosi, e lasciano il cuore aperto a vani pensieri, ai quali vanno dietro facilmente, come anche agli immondi.
Ed eccoti il tumulto delle passioni naturali e dei mali abiti non ancora del tutto esclusi, che affligge tanto la mente, che dall'orazione si parte, con perdita più presto che con guadagno; perchè sentita la durezza della battaglia, s'è resa senza far valorosa resistenza. E quanto di giovamento sarebbe egli stato a quell'anima, d'avere avuto innanzi qualche cosa ferma ed ordinata, nella quale si fosse occupata; onde pian piano si fosse andata riscaldando! Che se pur non fosse molto accesa, si sarebbe almeno difesa dai gravi colpi del nemico ed avrebbe fatto maggior guadagno.
Parrà poi cosa certa a taluni che i perfetti non abbino bisogno di cotale rimedio, cioè di regole poste in pratica; perchè l'unione dello Spirito Santo e la lunga abitudine in questo esercizio li guidano in esso. Nondimeno, considerando meglio il fatto, si vede che, se non è lor necessario, è almeno molto utile.
Perchè non è alcuno tanto perfetto, che non patisca talvolta la sottrazione della grazia e rimanga nudo. E quando Iddio in tal maniera ci lascia nelle nostre mani, non bisogna forse dar di piglio alle regole e all'arte? Può ben il perfetto in questo caso tener altre maniere ancora; ma io reputo che, ordinariamente, questa sia più utile, cioè di servirsi in pratica delle regole.
Può star bussando all'uscio gridando, piangendo e affannandosi, insino a tanto che gli sia aperto. Può anche umilmente raccogliersi in sè medesimo e starsene in terra, pascendo l'erba delle orazioni vocali; aiutandosi anche, come scala per salire in alto, con qualche meditazione; perchè quei concetti di prima sono spariti, bisogna ch'egli s'aiuti a trovarne di nuovi, proponendo a se stesso materia ordinata da meditare; non lasciando però di spesso bussare alla porta, se forse gli venga aperto.
E benchè e l'uno e l'altro di questi due modi sia buono, deve nondimeno la persona seguire quello al quale dallo spirito si sente più attirata. Che se non sente per l'uno o per l'altro preferenza, deve attaccarsi sempre piuttosto al secondo che al primo modo.
E quello per tre ragioni: prima, perchè col primo modo l'anima qualche volta tanto si stanca, che s'intiepidisce e cessa da quella santa importunità di bussare e gridare, e cala giù a basso, tutta afflitta e malcontenta; secondariamente, posto ancora che perseveri, è atto di maggiore umiltà l'occuparsi in qualche meditazione; come può ben vedere chi è in questo esperto, perchè l'anima ch'era solita di volare, ora bisogna che ascenda per le scale, ed anche pian piano; e se non le è aperto, deve tenersi per indegna di entrare, ed esercitarsi di fuori in quel che piace a Dio: nè è piccola umiliazione della mente, la quale prima era tutta in Dio rapita e trasformata, essere ora costretta di ritornare ai primi gradi della vita spirituale ed imparare l'alfabeto di quella. In terzo luogo perchè quantunque dall'una e dall'altra parte vi sia lo stesso merito, perchè la mente fa quello che sa per piacere a Dio, nondimeno il meditare è di più frutto presente, come dimostra l'esperienza; perchè dal bussare e chiedere si parte per lo più stanca, senza avere acquistato nè lume, nè fervore, e v'ha pericolo che non abbrevi l'orazione, nè vi ritorni poi così frequentemente; ma nel meditare è quasi impossibile che in lei non si ecciti qualche scintilla, che la illustri ed accenda; e più volentieri si trattiene e ritorna all'orazione.
E si potrebbe aggiungere per quarta ragione, che il primo modo suole apportare pericolo della sanità corporale; perchè l'anima, impaziente di stare lontana da Dio, si fa alcuna volta tanta forza, che il corpo se ne risente, massime il capo. E pensandosi, ora ch'è priva della grazia, di poter far quello che faceva ancora con la grazia, si trova a cadere in qualche gran danno della sanità corporale; al che ne segue poi, che, o bisogna che lasci l'orazione con suo gravissimo detrimento, o per forza ritorni ai principii della meditazione, usando questo secondo modo di che ora parliamo.
Adunque questo secondo modo, ch'è di meditare secondo le regole dell'arte, è più facile e più
fruttuoso del primo, ch'è del bussare e gridare. E perchè si esercitano meglio le regole avendole
in pratica che non avendole, come s'è dimostrato, chiaramente si conclude ch'è utile ad ognuno
avere le regole in pratica. Il che veduto, passiamo ora a dichiarare il modo di servirsi delle
pratiche, le quali abbiam ordinate.
E perchè s'intenda meglio, più ampiamente si spiegano queste parti, e, cominciando dalla prima, s'ha da sapere che due preparamenti si hanno da fare all'orazione; uno è avanti al tempo del pregare; l'altro è quando si vuol pregare
Il primo ricerca due cose: la prima delle quali è guardarsi dal peccato, almeno mortale; perchè non è degno di essere ammesso all'intelligenza dei misteri divini chi non si guarda dall'offese fatte a Dio, e massime da quelle tanto gravi com'è il peccato mortale.
Ma se pur l'uomo, per sua disgrazia, vi cadesse dentro, almeno si rilevi e non vi giaccia con l'affetto, ma subito se ne dolga, o almeno n'abbia pentimento, quando si vuole porre all'orazione. La seconda di queste due cose è che l'uomo nutrisca nel cuor suo un continuo desiderio di far orazione, il quale sempre gli roda l'anima e gli faccia sentire come una piaga al cuore. Questo desiderio produce in noi questi effetti: non ci lascia cioè perdere tempo intorno alle cose disutili o di poca importanza; perchè ricerca il compimento dell'opera di necessità o pietà, per poter attendere a questo santo esercizio dell'orazione; onde, toltogli l'impedimento di quelle, se ne corre di subito all'orazione, come il grave discende al centro per se medesimo, sempre che non sia impedito da qualche ostacolo.
E però questo desiderio ci fa osservare il detto di Cristo e di S. Paolo, che abbiamo da pregare sempre senza mancanza ed intermissione; poichè veramente sempre prega chi prega quando può pregare e, quando non può, brama affettuosamente ed attualmente di potere, e si sgombra quanto gli è possibile da gli ostacoli.
Di più, questo desiderio raffrena l'animo da una certa vana libertà e lo tiene raccolto in se stesso e sospeso non solo dai soverchi intrighi, ma anche da ogni affetto alle creature, conservando il cuor netto, perchè lo possa impiegare all'orazione. Talchè quantunque la necessità o carità ricerchi dell'occupazioni, se ne stà però l'animo rilevato da terra, almeno con un piede, nè vi s'appoggia affatto. E questo effetto è di grande importanza, perchè è preservativo da mille imperfezioni e dalla perdita del tempo.
Oltre a ciò, fa questo desiderio che quando ci poniamo all'orazione, più facilmente ci raccogliamo dalle distrazioni esterne, e lo spirito più veloce ascenda e voli in Dio, e riporti frutto molto abbondante dall'orazione. Onde non è piccolo dono di Dio nutrire, sopra l'altare del cuore proprio, questo fuoco benedetto del suddetto desiderio.
La prima di queste due cose integranti, cioè la preparazione precedente e remota, sia singolarmente detta per quelli che stanno molto intricati nelle faccende del mondo, ne si vogliono in tutto dedicare al servizio di Dio, quantunque abbiano animo di vivere da buoni cristiani.
La seconda sia detta per coloro i quali hanno animo di non far altro che servire a Dio, e che son sequestrati dal mondo, o in effetto, come i religiosi, o in affetto, come le persone pie, che nell'abito secolare menano vita religiosa; e così gli uni e gli altri faranno il conveniente loro preambolo all'orazione.
Non è però tanto necessario cotale preparamento che non si possa ancora senza quello pregare; perchè l'orazione può da sè farsi i suoi apparecchi, e va a poco a poco disponendo l'anima al pentimento e al desiderio ch'abbiamo detto. Però chi al primo non avesse tali disposizioni, entri pur all'orazione, chè da quella in lui nasceranno.
L'altro preparamento, che si fa quando si suole pregare, contiene parimenti due cose; la prima è disporsi l'anima all'impresa dell'orazione, con l'umiltà ed altri atti. L'altra è levare il peccato dalla coscienza, se vi fosse, col dolore, perchè possa quell'esercizio essere a Dio grato.
La disposizione che si ha da fare con l'umiltà e altri atti, è nelle pratiche istesse; però non occorre dirne altro, se non che, volendo pregare, si facciano quegli atti che nel preambolo sono ordinati; e ciò con prestezza e sentimento, perchè non si ha da fermar molto nel preambolo; ma non passarlo però senza attenzione; onde bisogna fare in quel principio gran forza alla mente, perchè chi entra all'orazione senza forzarsi di avere una viva attenzione, vi perde molto tempo e tutta quasi la fa distrattamente; ma a chi nel principio vi metterà attenzione, rivocando con forza l'animo dai pensieri strani e distraenti, con gran facilità proseguirà l'impresa.
L'altra parte del secondo apparecchio chè dolersi del peccato e chiederne perdono a Dio, è utile acciò sia l'esercizio grato a Dio; onde è bene di farlo, massime quando il peccato fosse mortale ed inquietasse la coscienza. Ma se la persona non si trovasse forte di spirito ad avere dolore interno, ne formi almeno quel poco che può; che se non si sentisse atto ad averne anche quel poco, aspetti quando nella pratica s'avrà da fare l'atto del pentimento, perchè allora sarà più disposta per le meditazioni fatte e per gli altri atti. Lo stesso faccia chi teme che, pensando al peccato per dolersene, non sia tentato a dilettarsi del ricordo peccaminoso. Cosi parimenti ha da fare chi è scrupuloso e troppo timido, intanto che, ricordandosi del peccato commesso, non ardisce porsi avanti a Dio, perchè tal timidezza impedisce la meditazione e gli altri atti: però deve, chi vuol meditare, con umile confidenza dar principio e seguire l'orazione sua, in fino a che venga il tempo del pentimento; chè allora con più sicurezza potrà farlo; perchè, quando il vaso del cuore è pieno di Dio, non vi entrano facilmente disutili movimenti, come è il dolore scrupoloso ed inquieto.
Benchè adunque sia utile comunemente il pentimento all'orazione, non essendo però utile a tutti, non si è posto nei preamboli delle pratiche. Però chi si sentirà di farlo, potrà farlo da sè, quando gli verrà più a proposito nel preambolo.