Si espone come per l'orazione s'acquistino le virtù e si
dichiara la seconda e terza domanda del Pater Noster.
Certo che il vero bene dell'uomo, altro non è che la virtù, la quale a Dio lo congiunge, il
quale è il sommo e proprio bene della creatura ragionevole. E chi altro bene stima più di questo,
non avrà mai bene; perchè gli altri o non sono beni, o ritornano a grave danno a chi, con mente
sregolata, tanto li ama; perchè gli divengono pietre, nelle quali inciampa, e navi, che lo portano
a miserabile naufragio. Però Iddio, che ci vuole bene e c'insegna le cose utili, ci ammaestra
dell'orazione e a quella ci infiamma, come a mezzo comodo e facile per diventar virtuosi.
Due sono i mezzi per far acquisto della virtù. L'uno è chiederla a Dio; l'altro è esercitarsi
negli atti virtuosi, onde l'anima venga, pian piano, ad essere abilitata, ben disposta, e così
virtuosa.
Il primo di questi due mezzi come è più facile, così anche a Dio è più grato; perchè quelle
virtù, che si hanno per mezzo dell'orazione, non così facilmente a sè l'attribuisce l'animo nostro,
come fa di quelle, che con la propria industria ha guadagnate. E Iddio dà volontieri le grazie a
chi dalla sua mano divina le riconosce, e le sottrae a chi le ascrive a se medesimo. Onde non è
cosa più ripugnante al profitto spirituale, che l'attribuire a sè i doni di Dio. Nondimeno anche il
secondo mezzo richiede l'esercizio della preghiera; perchè non s'esercita nella virtù, quando
occorre il bisogno e l'occasione, chi non ha l'affetto molto acceso verso di quella; nè questo
ardore dei santi desiderii si trova fuori dell'orazione. Che se ben talvolta s'accende, o leggendo
libri devoti, e specialmente le vite dei Santi, o udendo la parola di Dio, sì in predica, come in
ragionamenti spirituali, e vedendo di presenza l'odorifero esempio di qualche buon cristiano, ha
nondimeno l'orazione, per sua singolare proprietà, il generare e conservar in noi questo beato
desiderio; perchè l'anima in essa si rende più disposta e mobile agli interni movimenti dello
Spirito Santo; e contemplando in Cristo l'esemplare perfetto d'ogni virtù, molto s'infiamma ad
imitarlo. Ed il forte e risoluto proponimento, necessarissimo per uscir a tempo all'esercizio della
virtù, non si fa egli per lo più nell'orazione?
Dietro al desiderio grande di una cosa, segue il proponimento di prendere i mezzi per
averla. Pregando, si accende il desiderio della virtù; ed allora insieme ci proponiamo e
deliberiamo di far quegli atti di virtù, i quali generino in noi l'abito della medesima; onde l'anima
da sè per l'avvenire sia pronta all'esercizio della virtù, e con facilità e diletto l'abbracci. Anzi, di
più, dico che nella istessa orazione si fa cotale esercizio, perchè i proponimenti, quali abbiamo
detto, sono atti di quella virtù che proponiamo di avere; i quali atti, se sono frequentati, generano
l'abito di essa virtù. Di maniera che, il mezzo dell'esercizio, che detto abbiamo essere il secondo,
per acquistar la virtù, ha per sua genitrice e nutrice l'orazione.
Ma il primo più manifestamente appartiene a quella; perchè domandiamo a Dio che ci dia
la pazienza, l'umiltà, l'obbedienza e l'altre virtù. E questo è appunto il Regno di Dio, che Cristo
c'insegna a chieder dicendo: «Venga il Regno tuo ». è la divina volontà, che preghiamo sia fatta,
dicendo: «Sia fatta la tua Volontà, cosi in terra, come in Cielo». Allora Iddio in noi regna con
modo singolare, l'anima nostra sta umilmente soggetta al suo Dio, e dallo Spirito santo si lascia
muovere e reggere, come gli piace.
Muove lo Spirito col mezzo della grazia e della virtù, le quali ella seco porta. Onde intanto
regna Iddio in noi, in quanto siamo della grazia e virtù sue ornati e ben disposti. Chi dunque a
Dio chiede il suo Regno, gli chiede quelle virtù, le quali lo fanno regnare. Ma perchè parrebbe
un tentar Iddio, se l'uomo lo pregasse, che gli desse la virtù e non ponesse diligenza veruna
nell'esercitarsi in essa quando è il tempo, fa mestieri che l'uomo concorra con questa sua
diligenza.
Ma quando farà mai ciò, se prima coll'orazione non avrà da Dio ottenuto l'aiuto per
concorrere ad esser diligente? Però non solo s'ha da chieder a Dio l'abito della virtù, che renda
l'anima facile a lasciarsi muovere dallo Spirito Santo, ma ancora l'atto stesso della virtù, che è il
movimento di Dio col consentimento e concorso della volontà nostra.
Quel primo è il regnar di Dio in noi. Quest'altro è il farsi in noi quaggiù in terra la sua
volontà, come anche si fa in cielo. L'abito importa una virtù reggente e movente. L'atto di far la
volontà di Dio importa l'esecuzione di quel reggimento e movimento. Onde in quella domanda
preghiamo Iddio che ci accetti per suoi vassalli, e scriva nei cuori nostri col dito del suo spirito
le leggi del suo Regno, le quali non dimostrano solo quello che si ha da fare, ma inchinano e
muovono a farle. In quest'altra, domandiamo che ci faccia ubbidienti a sè ed osservatori delle
sue leggi; che questo è il far la volontà di Dio. Così veniamo ad ottenere da una parte l'abito
virtuoso, dall'altra ad esercitare gli atti, che all'abito danno perfezione; e tutto ciò per virtù
dell'orazione. è dunque l'orazione il mezzo perfetto per acquistare le virtù; onde molto bene
meritava che Iddio colla parola sua chiaramente l'insegnasse ed esortasse spesso.
CAP. VI.
Della prima necessità ch'abbiamo dell'orazione e si
espone la quarta domanda del Pater Noster.
Quantunque da quello che s'è detto finora dell'eccellenza dell'orazione, si possa anche
vedere quanto ella a noi sia necessaria perchè a noi è necessario di onorar Iddio ed acquistar le
sante virtù, frutti ambedue da lei nascenti, nondimeno anche per altri rispetti abbiamo speciale
necessità dell'orazione, per cui meritamente è tanto celebrata la sua memoria, e tanto l'opera sua
consigliata e comandata.
Ed è di due sorta questa necessità (come fu detto di sopra); perchè abbiamo bisogno di
pregare, ed in ciò siamo molto difettosi e negligenti. Il bisogno che abbiamo dell'orazione ce lo
scopre il divin Maestro nelle seguenti domande del Pater Noster.
Dicendo prima : «Dà oggi a noi il nostro pane quotidiano» si tocca quel sussidio, che a tutti
noi è necessario per l'anima e per il corpo, acciocchè noi è necessario per l'anima e per il corpo,
acciocché noi possiamo pervenire al nostro ultimo fine e somma perfezione.
Che quantunque ogni cosa, e noi singolarmente, siamo fatti da Dio perfetti nella creazione
secondo il grado della natura nostra, abbiamo però bisogno di aiuto, sì per mantenerci perfetti sì
per passar più oltre all'ultima perfezione, la quale non ci fu nella creazione data, ma solamente
l'istinto di conseguirla.
Tale bisogno d'aiuto è in noi per naturale condizione dell'esser nostro, e vi sarebbe stato
anche se l'uomo non avesse peccato, perchè, ancora prima ch'egli peccasse, avevano l'anima e il
corpo bisogno di cibo nutritivo, ciascun del suo, che li conservasse in quella vita già ricevuta e li
conducesse a quell'altra migliore che loro era stata promessa. Molto più adesso abbiamo cotale
bisogno, quando da quello stato siamo caduti in tante miserie e necessità, dalle quali prega il
Profeta esser liberato, dicendo: «cavami dalle necessità mie».
Il cibo proprio dell'anima tanto per la vita presente, quanto per quella che ha da venire, è
Iddio con i suoi doni e grazie; perchè allora l'anima vive, quando è a Dio congiunta o per grazia
o per gloria. Questo non può ella aver da sè, perchè la grazia e l'unione con Dio supera tutte le
forze della natura creata.
Iddio solo è quello che liberalmente donandoci la sua grazia e virtù, a sè ne trae e
congiunge. E per far ciò, vuole da noi esser pregato, e parimenti dopo che per la grazia ha dato
vita all'anima, acciocchè non la perda, ma in essa piuttosto faccia progresso, comanda che la
pigliamo e promette esaudire le nostre orazioni; per aver dunque cotal cibo abbiamo bisogno
dell'orazione.
Il corpo parimente ha i suoi bisogni. Il primo e principale dei quali è il cibo, perchè, in
qualche caso o luogo o tempo, potrebbe far senza gli altri sussidi, ma non può mai senza cibo. E
questo pure abbiamo da Dio, perché Egli è quel che dà alla terra virtù di fruttificare, a noi forza
di lavorarla e industria di guadagnare. Onde anche per questo bisogno dobbiamo pregare
chiedendo di esser da Dio soccorsi, e ciò facciamo, domandando il nostro pane d'ogni giorno,
perchè s'intende per pane, ogni cibo, e spirituale dall'anima e materiale del corpo.
E perchè, chiedendo il fine, si chiedono anche i mezzi da conseguirlo, quando da Dio
ricerchiamo il pane, gli domandiamo tutte quelle cose che sono necessarie e comode per averlo.
I mezzi da conseguir il pane dell'anima sono le divine ispirazioni, le sante scritture, le
predicazioni e dottrine dei santi, i concilii, gli statuti, i Sacramenti e tanti altri sussidi ordinati a
beneficio dell'anima, acciò viva della sua vita.
I mezzi per aver il pane del corpo sono la fertilità della terra, il buon governo dei principi
il prospero successo dei negozi, l'opere pie e generali e particolari, santità, fortezza, industria e
simili. Tutti adunque questi mezzi domandiamo a Dio, pregando ci dia il nostro pane. E perchè il
pane è il più necessario sussidio, congiunti con quello s'intendono ancora gli altri sussidi. Così
preghiamo che Dio ci conceda tutto quello di che hanno bisogno l'anima e il corpo per la loro
vita. E perchè è continuo questo bisogno non per un anno, ma sempre, - onde il pane è chiamato
d'ogni giorno, - ci avverte Cristo che ogni giorno dobbiamo ricorrere al rimedio dell'orazione,
insegnandoci Egli a dire: «oggi dacci il nostro pane di ogni giorno» perchè dicendo noi, oggi,
s'intende ch'ogni dì dobbiamo così pregare. Ecco quanta necessità abbiamo dell'orazione, poichè
senza quella non possiamo vivere. Vegga dunque ciascuno di noi, quanto dovremmo di quella
esser solleciti e frequenti.
CAP. VII.
Altre due necessità che abbiamo dell'orazione e si
espongono le due seguenti domande del Pater.
Avrebbe molto da fare, chi volesse minutamente discorrere par tutte le necessità che
patiamo, alle quali con l'orazione si rimedia; però ci basta toccar i capi principali, come ha fatto
il superno Dottore, insegnandoci a pregare. Egli ha toccato già la prima necessità, la quale è
comune a tutti e naturale, tanto per lo stato della natura creata, quanto per questo nel quale
siamo caduti; tocca ora l'altra, che non è naturale, ma volontaria, e da ciascuno di noi
particolarmente contratta, quando dice: «E rimetti a noi i debiti nostri, come noi li rimettiamo ai
nostri debitori». Questi debiti sono i peccati da noi commessi, per i quali siamo debitori di patir
le pene, o dell'inferno, o del purgatorio o anche di questa vita.
Questi debiti non possiamo da noi stessi cancellarli senza soddisfare al debito; ma il
creditore nostro Iddio volentieri ce li rimette, se noi umilmente, e con le dovute maniere se lo
preghiamo; onde il loro rimedio è l'orazione. E non solo ella rimedia ai peccati passati, ma anche
ci preserva da quelli futuri.
Indi il Signor nostro aggiunge nell'orazione sua: «E non c'indurre in tentazione». Abbiamo i
nemici nostri sempre ai fianchi, che al peccato vorrebbero trarci, e noi siamo deboli per resistere
loro, ignoranti a conoscere le loro insidie, inavvertiti a guardarcene, tratti dalla concupiscenza e
inviluppati in mille intrighi, i quali tutti sono tanti precipizi al peccato.
Singolare rimedio contro di quelli è il divoto ed instante ricorso all'orazione, pregando che
Iddio ci liberi da tanti nemici, e non ci lasci cedere ai loro assalti, o credere ai loro inganni.
Poichè s'egli non ci soccorre siamo non solo per la vittoria impediti, ma anche per la perdita
veloci. E tanto è che Iddio non ci soccorra, quanto il darci nelle mani loro. Però a significar tanta
nostra fiacchezza, non ha detto liberaci dalle tentazioni, ma non c'indur in quelle. Sia dunque
ciascuno vigilante all'orazione, se non vuol nella colpa dormire. E con essa preghi Iddio, per non
piegarsi al Demonio.
CAP. VIII.
L'ultima necessità che abbiamo dell'orazione, con
l'esposizione dell'ultima domanda del Pater Noster.
Per dar compimento e, con una sola parola, abbracciar tutte le necessità nostre, il Maestro
Divino finalmente conchiude nell'orazione: «Ma liberaci dal male». Due sono i mali (dice
Sant'Agostino) nè altro se ne trova. Il peccato e la pena del peccato. Quella è la mala radice, e
questo è l'amaro frutto. Il peccato è, quanto all'essenza sua, lo stesso male, perchè è la corruzione
del proprio e vero bene, privandoci di Dio e della sua grazia.
La pena ed il patire, quanto sia per sè, anch'egli è male, perchè priva di qualche bene,
ancorchè non del vero e sommo: talvolta nondimeno sono le tribolazioni occasioni al peccare, di
maniera che oltre il male, che hanno da sè per lor natura, il quale è imperfetto, come è
imperfetto il bene del quale privano, portano anche il vero e perfetto male, ch'è il peccato.
Onde in tal caso molto conviene loro il nome di male. Ma se l'uomo si serve di quelle
occasioni per esercitare la virtù, sopportandole con pazienza, quantunque siano per lor stesse
male, il bene nondimeno, che da loro nasce, toglie loro il nome di male; perchè quel male loro si
converte in bene. Di conseguenza allora solamente è male la pena, quando o non apporta bene
alcuno, o adduce il peccato.
E da quelle, in tal caso, preghiamo di esser liberati; onde quella condizione che si suole
aggiungere quando preghiamo, di esser liberati dai travagli, se ciò è per il meglio, è quivi
inchiusa; perchè s'è per il meglio che siamo travagliati, il patir non è male, ma bene; perciò non
preghiamo di esser liberati, dicendo liberaci dal male. Che se le tribolazioni non sono per bene,
cioè non ne caviamo frutto, o, ch'è peggio, incorriamo in peccato, elle sono male; e però allora
solamente chiediamo, o che da noi elle si partano come male, o a noi elle portino qualche bene.
Qui dunque molto bene si scopre quanta necessità abbiamo dell'orazione; poichè essendo
noi da tanti mali circondati ripieni ed oppressi, ella da tutti ci può liberare. E ha ella in questo
singolare forza, perchè sola può tanto. Niuna medicina corporale può liberare da tutte le
infermità, ma ogni male ha il suo proprio rimedio. Neanche le medicine spirituali sono ordinate
a produrre singolarmente ogni effetto in noi di spirituali rimedi, chè altrimenti se una facesse
ogni cosa, sarebbero le altre soverchie. Nè ogni virtù esclude ogni sorte di vizio, ma ciascuna il
suo che è contrario.
La virtù sola dell'orazione ha questo privilegio, di poter rimediar a tutti i mali. Onde
meritamente diciamo ch'ella è un'arma, che ci difende da tutti i nostri nemici; una medicina, che
ci risana da tutte l'infermità; è un cibo, che ci leva tutte le debolezze e mancamenti; è una veste,
che copre tutte le nostre bruttezze; è una chiave, che ci apre la cassa dei tesori divini, onde sia da
noi in tutto rimossa la povertà nostra. Oh! beati noi, se conoscendo tanta necessità ch'abbiamo di
questa virtù, convertissimo in virtù cotale necessità, sempre pregando. Abbiam veduto
l'eccellenza dell'orazione e la necessità che abbiamo di lei; resta ora da vedere, quanto noi
avevamo bisogno delle sue lodi ed esortazioni, fatte nelle divine scritture e santi libri.
CAP. IX.
Il bisogno ch'abbiamo, per nostra negligenza, che ci
sia molto esortata l'orazione.
Se quelli che ci amano, ci ricordano spesso il nostro bene, e ci esortano a quella vita ed
esercizi che ci sono utili, e quanto più ci veggono lungi da quelli, tanto più con affetto e
diligenza ci fanno tali esortazioni e ci danno tali ricordi, qual cosa doveva esserci più inculcata,
che l'orazione, poichè ella è a noi cotanto utile ed in quella siamo noi tanto trascurati?
S'è in parte detto quanto ella ci è necessaria; ma non so se mai esprimere si potrà quanto
verso di quella siamo negligenti e manchevoli; poichè se per la sua eccellenza e necessità ci
muove alla sua frequenza, ci dimostra pure la grandezza della nostra negligenza. Era dunque ed
è necessario che con gli stimoli sia punta la nostra tardanza, e con fiamme ardenti di persuasioni
sia la nostra freddezza accesa. Non senza ragione dunque ella ci è da Dio e dai Santi cotanto
esortata e lodata.
Questo nostro mancamento intorno a lei ha due ragioni. Una è la volontà fiacca, e l'altra è
l'intelletto oscuro: quella non vuole, questo non sa far orazione. Il fuoco del Verbo di Dio
riscalda quella con le lodi, comandamenti e persuasioni, illumina questo con gli
am-maestramenti ed istruzioni. Nasce il non voler noi far orazione da diverse radici; talvolta dal
poco credito in che l'abbiamo, non sapendo quanto ella sia preziosa, utile e degna. Talvolta dalla
fatica che in essa sentiamo, e dal tedio che ci assale, somministrato per lo più dal Demonio
nemico nostro e dell'orazione; il quale fa ciò che può, per tirarci da quella, vedendo egli ch'essa
snerva tutte le sue forze e scopre gl'inganni. Talvolta dall'esser noi troppo occupati nelle
faccende temporali, di maniera che per pregare non abbiamo tempo, o modo, o affetto. Sia che
al di fuori siamo occupati o al di dentro distratti, oppur di dentro e di fuori stanchi e fastiditi,
non ha in noi luogo alcuno questo santo esercizio di pregar Iddio.
Talvolta ancora si trova nell'uomo questo non volere, perchè dietro le spalle si getta tutti
gli esercizi cristiani, o non curando in tutto la sua salute, o parendogli di far assai, se si guarda
da certi peccati grossi; e per usanza prende i rimedi comuni di confessarsi e comunicarsi una
volta l'anno; immaginandosi che il far orazione sia cosa da Religiosi solamente, e non da
secolari.
Talvolta viene questo mancamento nell'uomo, perchè si crede che sia a Dio più grato lo
studiare, predicare, aiutare i poveri e far simili altre opere cristiane; talmente che, facendo
quelle, par lui di fare assai benchè non preghi: oppur a quelle si dà tanto, che non ha tempo di
pregare, cosa che talvolta si fa per istigazione del demonio; il quale, quando non possa con altro,
ci svia dall'orazione ponendoci innanzi l'opere pie, acciò, lasciato lo spirito dell'orazione,
lasciamo anche l'opere buone e prendiamo l'empie.
Per rimediare dunque a tutto, dobbiamo fermamente stabilire nell'animo nostro, che non
può esser buon cristiano chi non fa orazione: nè può perseverare nel bene chi non è dall'orazione
sostenuto: nè può con verità esser chiamato uomo spirituale chi non frequenta con qualche
sentimento l'orazione: nè può nettamente e rettamente esercitarsi nell'altre virtù chi in tutto
lascia l'orazione.
E però avvertano bene gli uomini dati all'opere buone, che chi a quelle si dà tanto, che si
scorda il pregare, contrae tanta impurità d'animo, che vi entrano mille passioni disordinate; onde
ben spesso pensandosi di operar per carità, lo fa per umani sguardi, e perde il frutto, ed incorre
in mille difetti, e talora in peccati gravi, che gli faranno anche lasciare quell'opere buone. Di
maniera che alfine si troverà molto povero, avendo nel suo tesoro congregato non oro o argento,
ma paglia solamente.
Per questo i Santi, i quali ci sono lasciati per esempio, non hanno mai lasciata l'orazione
per qualsivoglia altra impresa, anzi, ove fra loro molto diversificano, quanto all'esercizio ed
eccellenza della virtù, perchè uno in una e l'altro nell'altra è stato più occupato ed eccellente,
nell'orazione tutti sono convenuti, esercitandola molto e con grande affetto. Volendoli noi
dunque imitare, dobbiamo questa santa virtù sopra tutti gli altri esercizi pii aver impressa nel
cuore ed espressa nell'opera, non lasciandola giammai, per ordinario, onde attendere a
qualsivoglia opera buona.