Arsenio da Trigolo, Pensieri sparsi 
[69] Per un corso di predicazione - Argomenti




1. Fine dell'uomo

2. Fine delle creature, e quindi Indifferenza, ossia rassegnazione, conformità alla divina volontà

3. I tre peccati, coi peccati proprii

4. Inferno

5. Morte

6. Giudizio particolare - Giudizio universale

7. Occasioni di peccati - libertà dei sensi, quindi Mortificazione degli occhi

8. di lingua

9. di gola vedi [per questi argomenti] Scaramelli

10. Figliol Prodigo
 
 

4 giugno [1903] Discorso facile sul Sacro Cuore




Ignem veni mittere in terram etc. [Lc 12,49].

Esordio - Apparizione alla B. Alacoque in cui le mostra il suo cuore circondato di spine - sormontato da una croce circondata di fiamme.

Sermone - spiegare il motivo di questi simboli e cavarne pratiche conseguenze.
 
 

5 Giugno [1903] Per rinnovazione di voti - Triduo




Parabola del fico con foglie, ma senza frutti, così è l'anima che ha l'apparenza della virtù, ma non i frutti, cioè le vere virtù - gli effetti, gli atti, gli abiti delle virtù proprie del religioso: ha i voti, ma non li adempie. Incorre il pericolo della minaccia di Gesù Cristo: ad quid terram occupat illam, et in ignem mitte [cfr. Lc 13,7].

Rinnovare i voti, non vuol dire assumere nuova obbligazione, ma riconfermare [70] la già assunta. Vuol dire rinnovare il desiderio, l'amore di tutto sacrificarsi al Signore nostro Gesù Cristo - appunto come fa Egli continuamente che non solo si accontenta di sacrificarsi tutto là sul Calvario, ma vuole ogni giorno rinnovare tale sacrificio, nella S. Messa a significarci l'amore grande che ha per noi.

Lo scopo di questo triduo dunque è vedere, esaminare, come si sono mantenuti i voti e trovando d'esserci rallentati per la nostra fragilità e per la corrotta natura che sempre ci tira al basso, vedere come rimediare a tutto, e incominciare con nuova lena, come se ora per la prima volta facessimo i voti. Domandando a Dio perdono dei trascorsi mancamenti, chieder grazie nuove e nuovi aiuti, togliere gli impedimenti conosciuti causa e occasione dei nostri mancamenti e mettersi con coraggio e confidenza di nuovo in cammino.

In ciascun giorno, considerazione su di un voto.
 
 

Obbligo dei coniugati e genitori




Si può paragonare la sposa come eletto terreno vergine dato da Dio allo sposo perché lo coltivi, e semini, e quello renda fiori, frutti da trapiantarsi poi in Paradiso, i figliuoli; perciò oltre il produrli, deve rivestirli di virtù, acciò riescano olezzanti a Dio, e degni d'esser da Lui raccolti e collocati nel Paradiso. Ecco i loro reciproci obblighi, e gli obblighi verso i figliuoli.

Eccetto il caso raro che il Signore si accontenti che lo sposo coltivi solo il giglio in quel [71] vergine terreno, come fece S. Giuseppe con Maria SS.
 
 

Triduo per Quarantore




1. L'amor di Dio verso noi e verso Dio. - Maiorem charitatem nemo habet ut animam suam ponat pro amicis suis [Gv 15,13].

2. È doveroso il nostro verso Dio. - Diliges Dominum Deum tuum [Mt 22,37].

3. Il nostro verso il prossimo - Hoc est praeceptum meum ut diligatis invicem [Gv 15,12]. Pace ai nemici, etc.

Vedi Raineri, Istruz. catech. 1° comandam. E Da Ponte, l'ultima Cena.
 
 

Altro Triduo per quarantore sul Sacrum Convivium




1. O Sacrum Convivium in quo Chistus sumitur

Nel SS. Sacramento si contiene Dio vero vivo etc. - e si fa nostro cibo.

2. Recolitur memoriam passionis eius - memoria di rinnovazione della sua passione, del sacrificio della Croce per la remissione dei nostri peccati.

3. Et futurae gloriae nobis pignus datur

Il SS. Sacramento ci è di pegno e di caparra sicura della salute eterna se dal canto nostro faremo quanto è da farsi.

Vedi Da Ponte, ultima Cena, p. 3 e sul SS. Sacramento p. 6
 
 

[72] Quanto importa che i Sacerdoti sien santi




Perché molte virtù vanno scomparendo dai paesi, dai popoli? Perché non vi sono predicate e santamente inculcate. E perché? Perché chi le dovrebbe predicare e inculcare non le pratica, e perciò per non arrossire, o per non sentirsi dire internamente, o forse anche esternamente: "taci, che dici ciò che non fai", non se ne parlano, o se se ne parla, se ne parla molto freddamente e senza dar tanta importanza, appunto perché il cuore è freddo, et os loquitur ex abundantia cordis [Mt 12,34].

E così molte belle virtù: la purità, la povertà, l'obbedienza, il raccoglimento, lo spirito d'orazione, il disprezzo del mondo etc. restano sepolte per colpa di noi.

Così il denaro invece di usarlo pei poveri e pel decoro e culto divino, si ha la smania di pensare, educare, ingentilire i nipoti, toglierli dalla terra, dai campi per popolare i ginnasi, licei, e poi cavar dei nemici della Chiesa, e gli scandali del paese, ed esser poi d'inciampo alla libertà del nostro ministero. Quanti mali ci tiriamo in casa e in paese coi nipoti e colle nipoti maestrine, che non fanno tutto il giorno che riempirsi la testa di romanzi e vanità, e tutto si fermasse qui… quanti dispiaceri al povero prete… oh! Si potesse far di meno di donne in casa de' preti; se si potesse supplire con bravi uomini, quanto bene sarebbe[ 73] e lasciar che le nipoti prendano il loro stato, e i nipoti continuino nel mestiere paterno e di famiglia.
 
 

[73] Come si giunge alla perfezione




Il primo mezzo e condizione necessaria da parte di chi vuol giungere, o almeno incamminarsi sulla via della perfezione, è il desiderare di esser perfetto, o almeno avere il desiderio vivo di attendervi. Come si ottiene questo desiderio, ossia come si può in noi risvegliarlo? Colla lettura delle vite de' santi, adattati alla qualità e condizione della persona: questo è un mezzo molto efficace.

Il secondo mezzo è avere una guida che ci additi la via sicura che dobbiamo tenere, e questo giova molto, oltre un ottimo direttore, leggere qualche trattato di perfezione come sarebbe il Rodriguez, o la Pratica di amar Gesù del Liguori per chi avesse poco tempo o di poca capacità. - Lo Scaramelli per chi ha fatto studi un poco di consistenza.

Le letture delle vite de' Santi muovono il cuore, la volontà, e i trattati di perfezione illuminano l'intelletto, e questo poi, a sua volta, guida la volontà.
 

[74] 16 Nov. 903 - Non operar mai per vana gloria, e per farsi vedere, ma tenerti invece sempre alla presenza di Dio, e davanti a Lui considerati e tenerti per quello che sei, povero e miserabile, e l'ultimo di tutti, e come tale cercare di pensare, e operare, e agire e conversare cogli altri, cioè come l'ultimo di tutti. E per ottener ciò, farai l'esame sopra l'umiltà, cominciando da' primi gradi essi, e così andar sempre progredendo.

Usare de' sacramenti con tutte quelle disposizioni richieste: la confessione perché sia valida e fruttuosa; e la S. Comunione perché ti santifichi. Riceverli con viva fede e come la fede insegna di riceverli.
 

31 Lug. 1905 - Tutta la nobiltà e grandezza dell'uomo consiste nel fare la volontà di Dio, perché con ciò sempre più si avvicina e si rassomiglia a Dio somma grandezza, sapienza, bontà, nobiltà. [75] Tutto il resto al paragone di Dio è nulla, è fango: così ricchezze, onori etc. non fanno l'uomo nobile e grande, ma solo, lo gonfiano, ossia è grande presso chi non conosce il vero valore delle cose, che non sono che vane, vuote.
 

31 Luglio [1905] - Il modo facile di acquistare la perfezione si è studiare e imitare Nostro Signore Gesù Cristo sì nell'interno, sue virtù, che nell'esterno, modestia, compostezza, portamento, parole, gesti etc. E se vi ha persona che debba tender a questo, è appunto il Sacerdote, il religioso.
 

3 Ag. [1905] Il primo e principale frutto da cavarsi nelle meditazioni si è il perfetto adempimento dei doveri del proprio stato, e star sempre su questo finché si è fatto la buona abitudine di adempirli con perfezione: e questo per qualunque persona e di qualunque stato, sia secolare che religiosa e sacerdote; sia superiori che [76] inferiori perché allora sarà buon cristiano, buon padre e madre di famiglia, buon figlio, buon religioso etc.: fare bene e con perfezione ciascun dovere, ciascuna nostra azione ecco la via breve e sicura di riuscire a perfezione.
 

6 agosto 1905 - Gesù Cristo ha un cuore umano perfettissimo da sentire e compatire intimamente ogni nostro dolore e affanno e miseria, e insieme un cuor divino potente a sollevarci in ogni nostro affanno e dolore. Così compatì e sollevò la vedova di Naim, le sorelle di Lazzaro, il cieco di Gerico e di Gerusalemme, e così di tutti gli altri miracoli di resuscitar morti, guarir sordi, etc. Ma compatisce e solleva anche i dolori dell'anima; l'adultera: nec ego te condemnabo [Gv 8,11]; la Maddalena: vade in pace [Lc 7,50]; il paralitico: remittuntur tibi [77] peccata tua [Mc 2,5], prima risana l'anima, poi anche il corpo: tolle grabattum tuum et ambula [Mc 2, 9]. Dove troveremo un cuore più caro, ma insieme sì potente, che non solo sa compatirci, ma anche efficacemente sollevarci!? Quanto dunque questo cuore non merita il nostro amore, la nostra totale confidenza! Ma e perché non l'amiamo così, e perché non confidiamo sì tanto in lui? Perché non lo conosciamo abbastanza. Si ha sì una smorta cognizione, e per conseguenza un tiepido amore, e quindi una vaga speranza, e perciò poco si ottiene; non essendo viva in noi la fede in lui, né ardente la carità, morta ne resta la speranza, e senza effetto quindi la preghiera, e confidenza, perché fredda.
 

11 agosto 905 - Non è da farsi meraviglia che alle volte uomini immersi nei [78] vizi, non sappiano apprezzare le verità eterne, che anzi le mettano in disprezzo, e se ne burlino, come di cose fatue, e falsità; così che non vi sia una vita futura, che Iddio non sia provvido, che il peccato sia una cosa da nulla etc., non è dico di meravigliarsi che queste persone immerse nel vizio la pensino così, poiché loro immersi come sono nel fango, non hanno occhi di vedere le cose celesti, sono come animali sempre cogli occhi immersi nel loto, che non vedono che loto, e da questo offuscati non possono percepire ciò che è superiore al fango. Lo dice S. Paolo: animalis homo, non percipit ea quae sunt spiritus [1 Cor 2,14]. L'uomo animale, non può capire le cose spirituali perché superiori alla sua animale intelligenza perché diventan simili alle cose [che] amano.
 

[79] 18 Agosto 905. Noi sentiamo un bisogno naturale di Dio, e crediamo di non poter far senza di Lui, anche non volendolo. Avvengono certi casi all'uomo in cui si vede impotente ad ottenere ciò che pur vorrebbe, e sente un bisogno d'un aiuto, ma da un essere superiore all'uomo, essendo la cosa che desidera superiore alle umane forze, e trovando questo essere, o non conoscendolo se lo crea: così i pagani si creavano i lor dei, che gli aiutassero. Ma avvengono altre volte certe cose che punto non si vorrebbero, e l'uomo si trova affatto impotente ad arrestarne il loro corso, dal che anche contro sua voglia, egli è costretto ad ammettere un essere superiore a sé che dispone diversamente da quanto egli vorrebbe, e che la vince sopra di lui, il che lo deve condurre ad ammetterlo [80] superiore a sé, almeno in potenza; ma dall'ordine poi che scorge in questi eventi, è costretto ad ammetterlo anche sapiente etc.; e quest'essere, lo chiami con quel nome che vuole, che esso è Dio, e solo Dio. Non vorrebbero molti questo Dio, perché anche solo dalla ragione umana lo doveano riconoscere lor Signore e legislatore, e quindi supremo giudice e retributore del bene e del male: ed è tutta la ragione per cui si sforzano di negarne l'esistenza, perché sanno che dovranno esser da lui redarguiti delle lor male azioni. Nessuno che visse di costumi intemerati, cercò negar Dio, ma bensì cercare ragioni per provarne l'esistenza; solo chi rovinato nel cuore cerca persuadere all'intelletto, alla ragione, che Dio non vi deve essere, ma sono in continua lotta con [81] essa, perché non vuol dare il suo pieno assenso, essendo essa fatta naturalmente per il vero, e il sommo vero è Dio, e Dio solo.
 

11 Nov. 905. - Adamo peccando fece un gran vuoto nel suo cuore, poiché vi scacciò Iddio, il quale solo può riempirlo, fecisti nos, Domine, ad te (S. Agostino) et irrequietum est donec requiescat in te, cioè, donec a te repleatur.

E perciò i mondani fin da' primi primi tempi sentendo questo vuoto, e insieme sentendo un irresistibile desiderio di bene, buono e bello (che è appunto solo Iddio), essi invece non conoscendo tal verità, cercavano questo bene, buono e bello, nelle ricchezze, piaceri, onori; ma avveniva che non si trovavano mai sazi a sufficienza, sempre irrequieti, sempre in cerca di nuove ricchezze, piaceri e onori, e per quanto [82] ne acquistassero, sempre sentivano un vuoto nel cuore, tanto che Salomone dopo che provò tutti e ne accumulò quanto mai poteva potenza umana, infine fu costretto ad esclamare che erano tutti beni vuoti, che non riempivano il suo cuore, non soddisfacevano i suoi grandi desideri, e quindi giustamente li chiamava vanità, vuoti, vanitas vanitatum et omnia vanitas [Qo 1,2 e 12,8]. E così e non altrimenti doveva essere, poiché eran beni materiali, mentre il cuore non potrà esser appagato e ripieno a sazietà se non da beni spirituali, essendo fatto per gli eterni spirituali, ossia per Iddio, e solo per Iddio. Perciò venendo sulla terra Gesù Cristo subito proclamò [83] e coll'esempio e colla parola che la beatitudine e contentezza del cuore umano, non consiste già nel possedere ricchezze, ma anzi l'esser vuoti di esse, per lasciar posto a Dio, alla sua grazia che sola può soddifare a pieno il cuor dell'uomo per cui solo è creato ed è fatto: fecisti nos Domine ad te; e quindi disse: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum [Mt 5,3], sì perché chi tiene il cuor sgombro delle cose terrene, gli si riempie delle celesti, ed ecco perché beata la povertà; e Gesù appunto perché ripieno di Dio, non fece conto alcuno delle ricchezze umane, e volle nascere e vivere povero, avendo il cuor già ripieno di ben altre ricchezze, cioè di Dio, essendo lo stesso Dio. La povertà dunque di spirito [84] e meglio ancor di fatto è disposizione prossima ad esser riempiti dello spirito di Dio. Ed ecco la ragione per cui tutti i santi fondatori di ordini tanto raccomandarono la povertà, seguendo l'esempio di Gesù Cristo che a quel giovane che gli domandò che cosa dovesse fare per essere perfetto, per esser tutto ripieno di Dio: "Va', vendi quanto hai e seguimi" [cfr. Mt 19,21]. Ed ecco perché S. Francesco d'Assisi, ripieno di lume celeste, tanto amava la povertà, da chiamarla sua signora, sua sposa. Ed ecco quello che deve fare ciascuno che vuol essere perfetto: farsi povero, vuotare il suo cuore delle vanità, per lasciar luogo libero a Dio nel suo cuore: amor delle ricchezze e Dio non istanno insieme. E la storia sta lì per attestarci questa verità e ci dice che i religiosi allora appunto sono [85] caduti, quando incominciarono a prevaricare nella povertà, perché con ciò discacciarono villanamente Dio dal loro cuore per riporvi una sua creatura, la roba.
 

12 Novemb [1905]. Ottimo esordio all'inferno la parabola del ricco Epulone, uscita dalla bocca di Gesù Cristo istesso, in cui è già provata l'esistenza e le pene dell'inferno.
 

13 [novembre 1905]. In noi tutti vi ha un poco di bene ed un poco di male. Che fa la superbia? Entra in noi e con una mano nasconde tutto il nostro male, e ci pone sottocchio quel poco di bene che in noi: doti naturali, acquisite e spirituali che ce le ingrandisce e ci persuade esser roba nostra, e così ci fa invanire, insuperbire, innalzare contro di Dio di cui è ogni cosa che sta in noi: ci inganna. L'umiltà [86] invece entra ancor essa in noi e con tutte e due le mani ci pone sotto gli occhi il nostro bene e il nostro male, con verità e semplicità, e poi ci fa capire che tutto il bene che è in noi è di Dio, e che noi non l'abbiamo che ad imprestito; mentre tutto il male che è in noi, quello è tutta opera nostra, e quindi ci fa abbassare il nostro orgoglio e superbia, ci fa umiliare. Ma questa è solo umiltà d'intelletto, non è ancora la umiltà completa del cuore, ossia della volontà, che cioè vogliamo che anche gli altri ci tengano per quel che siamo, cioè ripieni di mali, e quindi degni d'ogni disprezzo; non solo, ma all'atto pratico d'esser non curati, umiliati, disprezzati, noi diciamo a noi stessi: Così è giusto, così va bene; e quando avessimo quest'umiltà, godremmo la più gran pace che si possa godere sulla terra.
 

[87] 16 Febbr. 907 - Perché Gesù Cristo volle tanto patire sulla croce, mentre molto più poco bastava alla nostra redenzione? Lo volle, primo, per farci capire sensibilmente quanto gran male sia il peccato, se per cancellarlo egli volle esserne inchiodato, e dalla sua morte così barbara capissimo la straordinaria gravezza del peccato: se ci avesse redenti, cancellato il peccato con un atto solo di virtù, e con una sol goccia di sangue, noi, grossolani come siamo, forse avremmo fatto poca o nessuna stima della gravezza del peccato, se con così poco l'avesse cancellato, non riflettendo tanto all'infinito merito dell'atto benché minimo, perché divino.

Lo volle ancora per significarci sensibilmente l'infinito suo amore per noi, che volle redimerci copiosamente, e significarcelo con sì crudissimi patimenti.
 

2 Marzo [1907]. Dovendo fare un corso lungo di predicazione, si può con frutto dar prima l'idea del fine [88] per cui siamo creati, poi del peccato, gran male che esso è, e di tutti i generi di peccati che sono più comuni all'uditorio, poi i novissimi come mezzi per fuggir il peccato e poi mondata così l'anima, parlare delle varie virtù cristiane, incarnandole sempre in Gesù Cristo verbi gratia della povertà di spirito, dell'umiltà colla sua nascita; della carità, coll'incarnazione, dell'osservanza della legge, colla circoncisione, purificazione etc. e così via e dell'obbedienza, amor del prossimo, coi suoi miracoli - in fine pienezza del suo amore col SS. Sacramento, e morte - e poi risurrezione con la quale solleva in lui la nostra speranza e carità, vedendolo sì amabile coi peccatori convertiti, e la promessa che fa a tutti che salendo al cielo va a prepararci il luogo per noi.
 

4 Mag.[1907] Dopo Gesù Cristo la prima sacerdotessa fu Maria SS. Essa fu che colla sua virtù se non de condigno, certo da congruo [89] ce lo chiamò dal cielo in terra: virginitate placuit, humilitate concepit. I sacerdoti se hanno facoltà di chiamare Gesù Cristo dal cielo in terra, lo è solo gratis; Maria fu la prima che l'offerse al divin Padre là nel tempio; essa allevò la vittima, essa la sacrificò là sul Calvario, vittima essa stessa, sacrificando la sua volontà al divin Padre unitamente a quella del figlio e patendo e soffrendo un mare di dolori, fin dalla vigilia della sua passione, allorché il Figlio da lei licenziandosi, le narrò tutto quanto stava per patire. Tacciano dunque quei predicatori, che par loro di non poter innalzare abbastanza la dignità del Sacerdote, senza voler abbassare la dignità di Maria. Maria fu la prima Sacerdotessa, e tale che non vi sarà mai sacerdote che la possa uguagliare in dignità quanto meno in meriti e santità: nessuno adempirà mai così bene a tal ufficio come Maria da esser ella stessa sacrificio col figlio da essa sacrificato per noi.
 

7 Mag. [1907] Per poter celebrare la S. Messa con devozione, si è il considerare in essa la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo nelle varie sue parti, incominciando da quando indossi i paramenti fino alla fine, poiché ogni cosa ha un significato inerente alla passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Allora facilmente staremo raccolti. [90] Quante volte, ogni giorno sacrifichiamo Gesù Cristo sull'altare, e quante poche volte ci sacrifichiamo con lui! Quante poche volte sacrifichiamo con lui la nostra volontà alla volontà di Dio! Il nostro giudizio e parere al giudizio e parere de' nostri; le nostre passioni! Quando ci uniamo con lui nelle sofferenze, patimenti, mortificazioni etc.?! Quanto abbiamo da meditare e risolvere nella S. Messa!
 

[Il resto del foglio ed i fogli 91-108 sono bianchi. Scritto sull'altro lato si trova quanto segue]
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