Arsenio da Trigolo, Pensieri sparsi 
[116] Un pensiero sul Noviziato che manifesterò ai Superiori se sarò interrogato.



Un anno solo di noviziato, in questi tempi così mondani e seducenti, sembra poco.

Poiché ciò che non si fa in noviziato per ciò che riguarda all'acquisto di sode e vere virtù, se in noviziato non si apprende quella educazione soda religiosa, se in noviziato non si apprende bene a meditare, a considerare, a esaminar se stessi, onde poter poi vincer se stessi con persuasione, e darsi con persuasione d'intelletto e volontà alla perfezione; poiché questa è tale cosa che non la si può mica infondere come l'acqua in un vaso a proprio piacimento da' superiori, ma bisogna che il novizio si persuada esso, che esso ne vada per così dire in cerca, e che la desideri, (ma non la può desiderare, se non a misura della cognizione che di essa ha), poiché le cose fatte così perché imposte, per ciò che riguarda perfezione e fatte quindi quasi [115] perché imposte, sono cose posticce, che non durano tanto, e facilmente in certe occasioni si staccano, sono come impellicciatura d'un mobile, che un poco d'umidità, o sole le fanno staccare: fanno bella figura, sembrano di vero mogano, di vera noce, di vero ebano, e invece sotto è tutto legno dolce. Così sono generalmente le virtù affastellate su in breve tempo; e quindi per non aver messo profonde radici presto seccano; e due o tre anni che sono fuori dal noviziato domandano d'uscire. Ciò non toglie che per alcuni anche un anno basterà, ma questo è di alcuni, ma nella generalità, l'esperienza dice così: se pure non domandano d'uscire, sono religiosi che non già si adattano essi alla Religione, ma la religione a sé, non essi alle regole, ma le regole a se stessi, e si fanno per così [dire] in religione un nido per cui possano [con] meno aver disagio [114] vivere in essa, e quindi fanno solo quel tanto da non esser troppo di riprensione; ma spingersi avanti nella virtù, nella perfezione, questo no, poiché di queste non hanno le radici, e quindi neppure il fusto, meno i frutti.

Per formarsi un poco di abiti di virtù, ci vuole un poco di tempo, e bisogna che se li faccia l'individuo stesso, perché fatti fare per forza da altri non durano, nihil violentum durabile: sono virtù esterne, esterne, e nulla d'interno, non hanno radici, sono tutte virtù appariscenti, come quei giardini posticci che si improvvisano lì per lì con piante e fiori etc., che poi dopo pochi giorni tutto secca. In un anno generalmente non si può che preparare la stoffa della perfezione, e tagliarla e imbastirla, ma a cucirla e formar l'abito, ci vuole il suo tempo.

Due anni, a' nostri tempi, sono appena sufficienti: e che in questi vi attendano di proposito, anche letture ordinate e alcune fatte anche ogni giorno da sé in cella, come sarebbe sul Rodriguez, o Scaramelli [113] per chi n'è più capace, in modo che si formino un'idea, un concetto chiaro della perfezione onde poterla desiderare ed abbracciare.

I lavori manuali in noviziato per chi poi deve tendere a studi, sì ci vogliono, ma solo come interrumpendum delle azioni mentali spirituali, quasi per riposare un poco lo spirito, e ruminare in essi in silenzio quelle buone idee e concetti appresi nelle letture mattutine e per esercizio di umiltà, come negli uffici umili e bassi perché sembra bene che fin dai primi anni prendano amore alla cella, al tavolino, se no dopo anche Padri, ameranno meglio perdersi in questo o quel lavoro manuale con discapito dello studio sempre necessario a Religiosi che devono essere la luce non solo del popolo, ma anche del clero che spesso a lui ricorre per lumi e consigli.

Il lavoro dovrebbe essere sempre solo per schivar l'ozio: uno non può occuparsi colla mente per[ché] [112] stanco dallo studio, o di altre occupazioni mentali, allora sì, ma tralasciar queste per quello non sembra secondo la mente di S. Francesco.

Si potrebbe, dopo il primo anno di noviziato, far loro fare i voti semplici, e si vede così come vivono in essi, e anch'essi vedano come si trovano essi e come in essi approfittino, e poi dopo con più fondamento si può ammetterli alla professione.

Così in questi due anni hanno spazio di educarsi e disciplinarsi in modo conveniente a persone religiose, poiché ognuno de' secolari li pretende ben accostumati, civili, che possano trattar con ogni ceto di persone senza urtare, o nei modi, o nel fare troppo rozzo, il che dispiace a ministri di Gesù Cristo che era la persona la più nobile, la più ben accostumata e di belle maniere mansuete e umili, e insieme nobili [111] che sia mai stata al mondo, perciò è conveniente che anche i suoi ministri, i suoi rappresentanti non sien tanto dissimili da lui; e con più anche in ciò, oltre l'essergli simile nelle virtù, cercheranno assomigliarlo, tanto maggior bene faranno anche nei prossimi: l'esperienza ne è maestra che attirano più i bei modi dignitosi, che i rozzi e villani. Anche la stessa gente rozza e villana, pure anch'essa ama vedere nel ministro di Dio nobiltà di tratto e modi garbati, mansueti e miti. Quante volte non si ode da queste dire di qualche religioso rozzo e villano: oh! è anche lui come noi, e quindi cade dal lor cuore quella venerazione alta e profonda che tanto volentieri essi vorrebber professare verso chi deve rappresentare Dio, e verso chi devono farlo depositario de' lor più alti segreti di coscienza, e delle cose lor più intime, de' lor affanni, de' lor dolori, delle loro pene. Vogliono sì l'affabilità, ma congiunta a nobiltà.

[110] Tale si legge che fu il S. Padre Francesco di tratto nobile, affabile e quantunque di vita tanto austera, pure dicono i suoi biografi, che nel tratto non aveva nulla di gretto e austero, ma di bei modi, e perciò tanto attraea a sé i peccatori di qualunque ceto.

Nel secondo anno poi potrebbero attendere anche un poco agli studi, ma ancora soggetti a regole del noviziato per ciò che riguarda cose spirituali.

Credo che se in noviziato vi fosse la regola di parlare in italiano, si educherebbero anche meglio, e se fosse possibile in tempo di silenzio che dura tutto il giorno, dovendo dire qualche cosa per necessità, come lo si fa in ginocchio, quelle dovessero dirsi in latino: allora credo, direbbero da prima poche parole e in secondo luogo servirebbe a non perder l'esercizio di quel poco che sapean prima. Per parlar latino solo per le cose necessarie, ci vuol [109] poco, quando uno ha un lista dei nomi delle cose più comuni a chiedersi e alcuni verbi più comuni da usarsi, in modo semplicissimo si ottiene un doppio grande vantaggio: primo che si osserverà di più il silenzio e non si diranno parole inutili, e secondo imparano una lingua che poi dovranno sempre maneggiare negli studi, e poi sempre nell'ufficiatura.
 
 
 

APCL, P 391/26/33