Arsenio da Trigolo, Pensieri sparsi 
[58] L'umiltà




21 aprile [1903]. - L'umiltà è verità. Coll'umiltà si separa il prezioso dal vile: dà ciò che di Dio a Dio, da quello che è nostro, per noi. È giustizia: che tutto ciò che abbiamo di bene e buono riconoscerlo da Dio, perché è tutto suo, e il farlo nostro è un furto di onore e gloria tolti a Dio stesso e quindi gran peccato è la superbia che fa suo quel che è di Dio, e perciò come rei di gravissimo peccato, i superbi non possono entrare in Paradiso.

27 aprile. - E pure non vi si pensa: ed ecco la ragione per cui siam superbi, se vi si pensasse un poco seriamente, chiunque vedrebbe quanta cosa giusta sia l'umiltà.

Chiunque vuol rettamente ragionare e fare i conti giusti e netti di ciò che è proprio suo, e di ciò che è assolutamente di Dio, troverà che di suo non avrà nulla, ma che tutto ha ricevuto da Dio - corpo - anima con le loro potenze e facoltà e doti - tutto è di Dio. Che vanità dunque, o meglio ingiustizia, gloriarsi come di cosa sua e dei frutti di essi come suoi, mentre, se qualche cosa con essi ha fatto, lo deve ancor a Dio che l'ha aiutato nella sua azione e operazione. L'umiltà è la cosa la più giusta, la più evidente, ma e che cosa è dunque che non la si pratica? la ragione di ciò si è il grande desiderio, la smania che abbiamo di grandeggiare, di comparire, il desiderio di eccellenza, ecco tutta l'origine de' nostri mali, ed è quella che rovinò Lucifero con tutti i suoi angeli.

A questa grandezza, cui noi ci sentiamo trascinati, sì ci arriveremo, ma per altra via, e non ora; per la via dell'umiltà e nell'altra vita. Noi siam fatti per Iddio, per esser con lui eternamente beati, eredi del cielo, re, ma nell'altra vita; l'inganno sta qui che tutti vorrebbero invece conseguire in [59] questa terra quella felicità, quella grandezza a cui ci sentiamo continuamente trascinati, ma è uno sbaglio gravissimo cercarla e pretender trovarla qua giù, dove tutto è finito e passeggero, mentre i nostri desideri non direbbero mai basta nel godere, e lo vorrebbero duraturo. Il solo pensiero di perdere anche l'onor ottenuto e ricchezze acquistate grandemente disturba, e perciò non si vorrebbe mai il pensiero della morte, ma è tutto grave inganno, poiché è appunto e solo dopo la morte che si potrà trovare duraturo godere, eterna gloria e grandezza.

Oh quanto ingannati viviamo noi uomini qui in terra cercando quaggiù onori, ricchezze, piaceri mentre questi non sono che ombre di quelli che il nostro cuore realmente brama e desidera, e intanto chi si perde in questi e si pasce d'essi, perde irreparabilmente i veri, gli eterni. E perché ciò? perché non vi si pensa veramente, non si meditano le verità eterne, le verità evangeliche.

Quanto disse bene il gran pensatore S. Agostino: Fecisti nos, Domine, ad te, et irrequietum cor nostrum donec requiescat in te. Siamo fatti per cose grandi, cioè per Iddio, e il nostro cuore non può trovar pace, non può star quieto nelle sue brame, finché non riposa in Dio, poiché per quanto possieda quaggiù, tutto è piccolo e non può riempire la sua vasta capacità; solo Iddio lo può riempire, per cui solo è fatto. L'esperienza ce lo mostra continuamente: per quanto uno sia ricco, potente, onorato, non si trova mai ricco a sufficienza né bastante onorato, né sufficiente potente, poiché quello che possiede è finito o deficiente e il suo cuore è fatto per l'infinito ed indeficiente. Senti perciò la conclusione di Salomone che, dopo d'aver gustato e posseduto il possedibile e il godibile, disse che tutto era vuoto, vanità, che non lo riempiva né saziava [60] perché non siamo fatti per queste piccole grandezze né per i gusti terreni, ma per i grandi del cielo, ma a questi non ci si può arrivare se non mediante la giustizia, ossia l'umiltà, coll'esser parati a dar a Dio quel che è di Dio. Soli Deo honor et gloria, il qual onore e gloria noi gli prestiamo servendolo in tutto ciò che è di suo beneplacito, e allora con lui regneremo per tutta l'eternità: servire Deo regnare est.
 
 

Modo d'introdurre alla vita di perfezione cristiana




27 aprile [1903]. - Alle persone che vogliono incamminarsi bene nel servizio di Dio conviene da principio inviarle sulla via della meditazione, ma meditazione semplice, piana, facile. E da prima esercitarle nel meditar sui doveri del proprio stato. Sarà una madre: sui doveri di madre di famiglia, l'educazione dei figli, il guidar bene la famiglia, le faccende domestiche; è moglie? La soggezione, il rispetto etc. al marito; è figlia? L'obbedienza, il rispetto a' genitori, il lavoro, la carità, concordia in famiglia, buon esempio etc. E a meglio riuscire in questo, propor loro ad esempio Gesù, Maria, Giuseppe nella casetta di Nazaret, e come imitarli, - poi sui misteri, la sua passione e morte, e prima ancora i comandamenti di Dio, etc. E insegnar loro gli esami di coscienza. Ecco le due ali su cui queste anime si innalzeranno a Dio, ali che serviranno a staccarle prima dalla terra e poi le innalzeranno al cielo. Ma senza meditazione ed esami difficilmente voleranno.

Così sopra i cinque sensi, meditazione ed esami; sono mezzi semplicissimi ed efficacissimi a purificare e perfezionare un'anima, insegnando il metodo dell'esame particolare, ciascuno secondo la propria capacità e comodità. - Argomenti(3) che servono.
 
 

[61] Il peccato anche veniale quanto dispiace a Dio massime ne' religiosi




30 aprile [1903]. - Gesù Cristo fra le tante offese che ricevette durante la sua passione da vari generi di persone, non si lamentò mai: Jesus autem tacebat [Mt 26,63]; anche nelle più crudeli pene, flagellazione e coronazione di spine e crocifissione, sempre tacque, e se parlò sulla croce fu: "Pater ignosce illis, nesciunt quid faciunt [Lc 23,34]. Padre perdona loro, non sanno ciò che fanno.

Una sol volta si lamentò e per un'offesa che a paragone delle molte altre, la si potrebbe dir piccola, e fu quando ricevette lo schiaffo in casa di Anna dal servo Malco. E perché ciò? Certo non senza grande ragione e mistero, a nostro grande ammaestramento, poiché anche ogni suo atto è per noi un ammaestramento. Che cosa voleva con ciò insegnarci? Che un'offesa anche leggera, ma ricevuta da persone da lui sopra le altre privilegiate, gli è più grave che non altre anche in sé più gravi, ma da persone non privilegiate. A Malco avea appena, appena fatto una grazia, attaccandogli l'orecchio reciso da Pietro, e con quello si vuole che anche gli avesse dato l'udito, l'intelligenza della verità. Or bene lo schiaffo ricevuto da lui, gli recò molta offesa e perciò se ne lamenta: "quid me caedis?" [Gv 18,23]. E questo fa con noi ogni volta che l'offendiamo anche venialmente; quid me caedis, perché mi percuoti, anima religiosa? Qualunque piccola offesa la si può sempre paragonare a uno schiaffo che si dà a Gesù, se non fisicamente, certo moralmente che alle volte cuociono di più che il fisico. E quante volte non diciamo così ancor noi allorché riceviamo qualche offesa: se mi avesse dato uno schiaffo, non l'avrei così sentito come questa offesa, questo torto, etc. etc., e quanti fra il giorno diamo noi schiaffi a Gesù, e poi come potremo dire di amarlo? E come ci lamenteremo se ci castiga con aridità, oscurità, etc. anche malattia, umiliazioni etc.?
 
 

[62] Per parlare con frutto dei Santi ossia discorsi, panegirici di Santi.




30 aprile - A questi tre punti si riduce tutto quello che si [ha] da meditare (dire, encomiare) relativamente a ciascun santo.

1) La sua vita e l'esercizio delle virtù per le quali arrivò a tanta santità ad imitazione di Gesù Cristo.

2) La sua gloriosa morte che è poi lo specchio della vita, talis vita, finis vita; e il premio che Iddio gli diede in essa; i premi delle buone opere non bisogna aspettarseli in vita, ma dopo morte, perché eterni.

3) L'onore che Iddio gli fa anche in questa vita, premiandolo ancor di qua tra gli uomini. L'onore che si presta ora a tanti santi qui in terra, lo si presterebbe loro se non fossero stati santi? Chi parla, chi onora i fratelli, i genitori, i parenti d'un San Luigi, S. Stanislao, d'un San Francesco d'Assisi etc. che pur in terra mentre vivevano erano ricchi, onorati etc. perché onori e ricchezze vane e passeggere, mentre i santi che le disprezzarono e vissero disprezzati, ora invece, mutato il giudizio degli uomini, sono onorati etc. perché appunto vera ricchezza e veri onori sono il disprezzare le ricchezze terrene, gli onori terreni.

Qual conto dunque si deve fare di questi? Etc. e venire a pratiche conclusioni, di frutto all'uditorio, ossia a loro adattate.
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3. Prima al posto di "argomenti" aveva scritto "cose".

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