Frati Minori Cappuccini Lombardia

Da alcuni anni i frati hanno lasciato il convento.
Il complesso è in attesa di una destinazione degna della sua Storia


CONVENTO DI LENNO (CO)
L'ABBAZIA di
S. MARIA DELL'ACQUAFREDDA

Abbazia Acquafredda

Indice del Documento
 

NOTIZIE STORICHE

Origine dell'Abbazia.

La sera del 21 marzo 1098, Roberto abate di Molesme, in Francia, lasciava la sua abbazia con alcuni compagni per fondare il nuovo monastero di Citeaux. Da quella fondazione fino alla metà del sec. XIV, per un periodo di circa 250 anni, si moltiplicarono le abbazie cistercensi, assumendo grande importanza nel campo religioso, civile, artistico, sociale.
In Italia furono ben 88 le abbazie fondate in quel periodo. Ne contava 14 il Lazio; la Toscana e la Lombardia 9 per ciascuna, e tra quelle Lombarde ricordiamo le due più vicine a Milano: S. Maria di Chiaravalle alle porte della città, S. Maria di Morimondo (Coronate), tra Milano e Pavia.
Fu appunto quest'ultima il nido da cui sciamarono i monaci che vennero a fondare quella di Lenno.
La linea a cui apparteneva ogni abbazia era stabilita dalla sua origine, da Citeaux, o da uno dei quattro monasteri derivati da Citeaux: La Ferté (1113), Pontigny (1114), Clairvaux (1115) e Morimond (1115).
Nel luglio 1142 Ottone Pellegrino, padrone dell'Isola Comacina, con atto di donazione attribuì ad Enrico, monaco di Morimondo (Coronate), alcuni terreni posti a Lenno in località Roncale, luogo incolto ed aspro, perché vi fosse edificato un monastero dedicato alla Madonna, a S. Pietro e a S. Agrippino. (Cfr. atto trascritto dal Bonomi nella Biblioteca di Brera).
La fondazione del monastero, secondo le tavole genealogiche dell'Ordine, avvenne nel 1143, e dato che i monaci venivano da Morimondo, dove era abate un certo monaco Pietro, la nuova abbazia di Lenno apparteneva alla linea di Morimondo. Il nome di Acquafredda provenne ad essa dalla sorgente di acqua particolarmente fresca che scaturisce ancor oggi nelle vicinanze.
Nel 1144 ancora Ottone Pellegrino acquista per il monastero casa e terra situata in luogo di Rovelio, detto anche Roncale.
Altre donazioni consolidarono la giovane abbazia, che fu oggetto di privilegio da parte di Federico Barbarossa nel 1173, mentre papa Alessandro III la prese sotto la sua protezione, seguito in questo dall'imperatore Enrico VI nel 1195.

La chiesa dell'Abbazia.

Quando fu fondata la chiesa annessa al monastero? Tra i pochi documenti esistenti tuttora nell'attuale convento di Lenno abbiamo trovato una Raccolta cronologica di don Franco Ferrari, abate della stessa abbazia dell'Acquafredda nel 1675, in cui dimostra, polemizzando con il Rusca, seguito poi dal Tatti e dal Rovelli, che ascrivevano la consacrazione all'anno 1147, che detta chiesa non fu incominciata prima del 1153. Il Ferrari sostiene che prima era officiata l'antica cappella (li S. Pietro, in cui conservavasi il corpo di S. Agrippino, vescovo di Como, e a conforto della sua tesi asserisce che in un antico codice pergamenaceo, che serviva da lezionario secondo l'antico rito cistercense, é scritto: «L'undici marzo 1153 si diede principio alla fabbrica di questa chiesa». Questa data è confermata dallo Spicilegio dell'Abbazia dell'Acquafredda conservato alla Braidense. In un documento trascritto dal Bonomi si legge che Andrea Meraviglia, abate di Chiaravalle e commissario apostolico delegato da Martino IV, sopprime l'ordine e la dignità abbaziale di S. Benedetto, e pone il convento di S. Benedetto sui monti in Val Perlana, costruito nel 1083, alle dipendenze di quello dell'Acquafredda.
Nel 1460 l`abbazia di Lenno divenne commenda di Francesco Piccolomini, nipote di Pio II, che divenne papa il 26 settembre 1503 col nome di Pio III e che morì dopo soli 26 giorni di regno, il 18 ottobre dello stesso anno. Gli successe Giulio Il. e l'abbazia, durante il suo governo e con la sua approvazione, fu restituita ai monaci da Aldello, della stessa famiglia dei Piccolomini e vescovo di Soana, allora territorio di Siena, a condizione che vi abitassero almeno 8 monaci.
Nel 1504 lo stesso vescovo di Soana aveva attribuito al monastero le parti migliori dei redditi (le decime di Ponna, e i beni dell'antico monastero di S. Benedetto sui monti in Val Perlana), riservandosi come commendatario solo i beni situati a Delebio.
Più tardi, per varie circostanze, i Cistercensi dovettero abbandonare il monastero, e il luogo divenne rifugio di banditi, quasi una loro fortezza dove riparare dopo le scorrerie sul lago e nei dintorni.
La situazione divenne tragica e insicura per i paesi vicini, per cui nel 1527, Federico Bossi, governatore di Como, incaricò il conte Ascanio Pergamino di incendiare e distruggere il monastero. Il capitolo generale dei Cistercensi del 1565 (Statuto 40), preso atto della precaria situazione del monastero lennese, ridusse a tre scudi il contributo da versarsi dall'abbazia per le spese generali dell'Ordine. Incoronazione della Vergine
Chiesa e monastero furono riedificati all'inizio del 1600, risultando la chiesa attuale di una sola navata con due altari laterali.
L'altare di sinistra, dedicato alla Madonna Annunciata, fu affrescato dal Fiammenghino (Giovanni Mauro della Rovere, morto a Milano nel 1640), che qui lavorò nel 1621, epoca in cui dipinse in diverse località del Lario: nel 1615 a Peglio, sopra Gravedona, e nella chiesa di S. Miro a Sorico, nel 1619 a Stazzona nella cappella del Rosario; nel 1628 dipinse a Brenzio, sopra Dongo, gli affreschi della cappella di S. Giovanni Battista.
Esaminando i ricordati affreschi, risulta che il Fiammenghino ha usato a Lenno gli stessi cartoni impiegati in Alto Lago: e precisamente la medesima Incoronazione della Vergine si vede a Lenno e nella chiesa di Peglio, le medaglie della cappella della Madonna a Lenno, raffiguranti i Misteri del Rosario, ricopiano quelle di Stazzona. Il Della Rovere pure nel 1621 nella chiesa dell'Acquafredda dipinse una bella Annunciazione ad olio, firmata e datata, appesa ora nel coro, mentre anticamente costituiva la pala dell'altare della Madonna.
La cappella di destra, dedicata a S. Bernardo, è parimenti opera del Fiammenghino, come la pala raffigurante lo stesso santo, un olio su tela . Queste due tele sono tra le opere migliori di questo artista, indubbiamente superiori, per finezza espressiva e nobiltà di tratto, agli affreschi, e la loro paternità é garantita dalle note originali del 1769, dovute alla diligenza del procuratore del convento Basilico Pionni. Lo stesso ci informa, tra l'altro, che l'abate Tommaso Azzimonti, nel 1699, fece ornare con marmi intarsiati e policromi l'altare di S. Bernardo; l'altare maggiore in marmo fu fatto eseguire dall'abate Don Giusto Rossi nel 1714, mentre la volta e gli stucchi risalgono al 1680. Due buoni dipinti ad olio settecenteschi, rappresentanti S. Michele arcangelo e S. Francesco d'Assisi, sono appesi alle pareti laterali.
Gli antichi stalli del coro rinnovati nel 1680 da don Camillo Melzi, abate milanese, si conservano attualmente nella parrocchiale di Menaggio.

L'antica cappella di S. Pietro.

Il manoscritto di don Franco Ferrari, abate del monastero nel 1675, già citato, contiene la descrizione dell'antica cappella di S. Pietro e S. Agrippino, tuttora esistente: «Vi è nel coro verso monte una porticina che conduce in questa cappella contigua alla stessa chiesa, e serve di base per il campanile, si incurva in abside semicircolare unita e bassa, dipinta con gli atti degli apostoli S. Pietro e S. Paolo, con l'immagine della Vergine sull'altare; e qui per tradizione riposa il corpo di S. Agrippino e di sua sorella S. Domenica». In contrasto con il Tatti, che asserisce il trasporto del corpo di S. Agrippino dall'Isola Comacina come avvenuto nell'anno della sua distruzione (1169), don Ferrari, più logicamente, sostiene che fu trasferito nella cappella di S. Pietro 27 anni prima, ossia nel 1142, durante la guerra tra Comaschi e Isolani per opera del signor Peregrino, signore dell'Isola: di questa cappella tenevano le chiavi i monaci di S. Benedetto sui monti di Lenno, ed essi scendevano a celebrare la S. Messa. La piccola abside semicircolare di detta cappella è ancora ben visibile (vedi foto) dall'interno dell'orto del monastero. Essa fu ritenuta da Ugo Monnaret de Villard (L'Isola Comacina, «R.A.C.», 1914, p. 139) e da altri scrittori, l'unico avanzo dell'antica chiesa dell'abbazia, ma si può supporre quella costruzione come preesistente alla fondazione cistercense, anteriore quindi al mille, riflettendo sulla semplicità delle sue forme architettoniche, prive di lesene e di archetti, abituali caratteristiche dell'architettura lombarda e prelombarda. Inoltre, per la sua fattura esterna, detta cappella di S. Pietro richiama l'oratorio di S. Giustina presso il chiostro di Piona, ove nel 1663 Primo Tatti rilevava incisa, in latino, questa iscrizione: «Agrippino, servo di Cristo, vescovo della città di Como eresse dalle fondamenta questo oratorio di S. Giustina martire l'anno decimo della sua ordinazione; vi ordinò i sepolcri, lo compì di ogni cosa e lo dedicò». Intorno a S. Agrippino i dati storici non sono punto sicuri; ma se ci atteniamo al Tatti, che ritiene Agrippino ordinato vescovo nel 586, si deve concludere che l'epigrafe risale all'anno 596. Abbazia su stampa
Negli atti di fondazione e di donazione si parla sempre del monastero dedicato alla Vergine, a S. Pietro e a S. Agrippino: questi titoli, e i due santi, probabilmente si riferivano alla cappella già costruita; altrimenti non è facile spiegare come nella distruzione avvenuta nel 1527 rimanesse in piedi solo questa piccola abside, che fa supporre un senso di rispetto verso l'antica cappella di S. Pietro contenente le reliquie di S. Agrippino.
Se questa fosse un avanzo della chiesa cistercense, la sproporzione tra Absidiola laterale rimasta e la larga abside della chiesa ricostruita sarebbe inspiegabile.
Non va infine trascurata la tradizione confermata in vari manoscritti monastici dell'abbazia, tra i quali quelli citati da don Franco Ferrari e don Basilico Pionni, dove la notizia dell'anteriorità della cappella di S. Pietro alla venuta dei monaci è salda e continua.
L'iscrizione della lapide in caratteri gotici, immurata posteriormente sulla facciata esterna di detta abside, ornata del monogramma di Cristo, documenta: «Nell'anno del Signore 1309 fu iniziata quest'opera».
Detta data potrebbe riferirsi alla costruzione del campanile, esattamente innestato tra la cappella di S. Pietro e l'abside.
Gli affreschi della cappella di S. Pietro e S. Agrippino, benché rovinati dalla umidità, sono interessanti: nel concavo dell'abside è centrata la Vergine e ai lati i santi Pietro e Paolo, S. Carlo Borromeo e un santo con la tunica di soldato; in ordine superiore seguono S. Agrippino, S. Domenica, S. Abbondio, vescovo di Como, e S. Eusebio vescovo di Vercelli.
Sulla parete prospiciente l'ingresso è ritratta la scena della pesca miracolosa con Cristo e Pietro protagonisti; sulla parete opposta spicca la conversione di S. Paolo, e sulla parete di fondo sopra la finestrella il martirio di S. Paolo.
Nel 1675, nota l'abate Ferrari, erano affrescate solo le tre pareti ricordate e i dipinti dell'abside con Maria SS., S. Pietro e S. Agrippino erano rovinati; conseguentemente gli affreschi attuali dell'abside e quelli della cupola sono da attribuirsi a Giuseppe De Vincenzi, detto il Comaschino.
La notizia è affacciata da Anton Gioseffo della Torre di Rezzonico (1709-1785) nelle pagine dedicate, nel suo Larius, al monastero dell'Acquafredda (Cfr. «Larius», Tomo II, Vol. I, pagg. 58-59).
Lo stesso in una lettera da Como, in data 17 settembre 1735, scrive al marchese Carlo Sfondrati, conte della Riviera, pregandolo di incaricare il pittore Giuseppe de Vincenzi, detto il Comaschino, che stava ornando la chiesa di S. Agrippino, presso l'abbazia di Lenno, di preparare il disegno della villa Capuana a Fiumelatte presso Varenna, e del palazzo e colle di Bellagio con la terra e il porto. Il Rezzonico, volendo illustrare la sua opera, desiderava che lo Sfondrati gli procurasse i disegni delle sue ville sul lago, e gli suggeriva il Comaschino come pittore e architetto capacissimo, avendo egli già lavorato in dette ville. Il De Vincenzi, a detta del Rezzonico, aveva visitato anche il monastero di S. Benedetto in Val Perlana, assai lodato da lui per la sua antica architettura. (Vedi nota).

Vicende storiche.

Nei primi decenni del 1700 il monastero fu restaurato, e il Rezzonico (citiamo in traduzione), annota: «Ammiriamo l'edificio restaurato con elegante costruzione, come dimostrano i disegni fatti recentemente, per ordine dell'illustre signore Carlo Venini; i lavori eseguiti sovrastano di molto il maestoso e amenissimo portico lodato dal Vescovo di Nocera (Paolo Giovio) ( si scorge la villa Giulia, costruita con regio ardire in questi ultimi anni da Pietro Venini sull'estremo lido di Bellagio» (Cfr «Larius» cit. p 59)
Come fosse il complesso della abbazia dell'Acquafredda dopo i restauri, è documentato dal disegno qui riprodotto, che fa parte del manoscritto della stessa abbazia intitolato Beni, case, livello del ven. monastero dell'Acquafredda per ordine dell'abate Rodolfo Terzago misurati e posti in disegno da G. Battista Nolli e Antonio Nolli geometri cesarei l'anno 1724 il 24 aprile.
Anton Gioseffo della Torre iniziò il suo Larius nel 1735 e lo protrasse fino al 1779; perciò poteva scrivere: «ammiriamo l'edificio restaurato...».
Nelle memorie manoscritte di don Pionni, risalenti al 1769, si legge che nel 1717 l'abate Rodolfo Terzago ritrovò in un'urna contenuta nell'altare maggiore una cassettina con l'iscrizione: «B. Agrippini confessoris et episcopi Comensis ossa». Nel 1719 lo stesso abate fece eseguire le cassette ornate di argento per le reliquie di S. Agrippino e di altri santi e le collocò sotto l'altare maggiore. L`antico avello contenente il corpo di S. Agrippino fu collocato all'esterno della chiesa con la scritta: «1721 In questo avello era riposto il corpo di S. Agrippino».
Nel 1734 don Terzago rifece la facciata del monastero e aprì i balconi.
Nel 1768 i monaci erano 12, e nel 1774 fu costruita la tomba per gli stessi presso la porta della chiesa.
Il Rezzonico continuando le sue preziose informazioni asserisce che il monastero possedeva una antica biblioteca con molti dei volumi ricordati dal Sassi. (Questi nella Historia literaria-typografica Mediolanensis aveva redatto il catalogo dei libri editi a Milano tra il 1465 e il 1500).
Anche la natura che circonda il monastero dell'Acquafredda sprigiona un fascino seducente misto di bellezza e di pace. «Il territorio risplende di lauri, di ulivi.... le vigne danno vino abbondante che possiamo chiamare, col vocabolo di Plinio, vino aromatico... i monti producono erbe ricercate dagli erboristi, ma volesse il cielo che i raccoglitori fossero immuni dagli assalti degli orsi» (Rezzonico). Grazie al cielo, oggi gli orsi sono scomparsi; rimangono con il monumento secolare le bellezze naturali della località, dei monti e del Centro Lago.
Nell'agosto 1785 Giuseppe II soppresse il monastero, che, con tutti i beni annessi, fu posto all'asta pubblica in Como: lo acquistò Ignazio Mainoni, banchiere milanese, e i monaci si trasferirono alla Certosa di Pavia.
Ad Ignazio Mainoni, morto nel 1808, successe il figlio Francesco, il quale nel 1812 vendette la proprietà dell'Acquafredda a Carlo Bonomi, che a sua volta nel 1814 la rivendette a Pietro Stampa.
Nel 1904 qui trovarono rifugio i Benedettini di S. Maddalena di Marsiglia, esiliati dalla Francia, visitati il 22 settembre 1904 da Mons. Valfrè di Bonzo, vescovo di Como, che benedisse il monastero restaurato; e il 10 maggio 1906 il Card. Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, accompagnato dal vescovo ausiliare e dai chierici teologi, vi celebrò con riti solenni la S. Messa.
Fu adibito anche come Seminario estivo della diocesi di Crema, finché nel 1934 fu acquistato dall'Ordine dei Minori Cappuccini della provincia lombarda. Abbazia Acquafredda ex
Dal gennaio 1966 i Cappuccini hanno affidato l'abbazia dell'Acquafredda al Terzo Ordine Francescano, quale ideale soggiorno di preghiera e di studio, per singoli e per gruppi.
A distanza di secoli, l'abbazia continua la sua inesauribile missione di preghiera e di lavoro, di pace e bene.
L'apertura della nuova strada carrozzabile, realizzata dalla attuale Amministrazione comunale di Lenno, è un invito a salirvi, e di lassù Tremezzina e Centro Lago si godono beatamente.
D. NICOLA CETTI
Nota. La villa Capuana, costruita da Ercole Sfondrati, fu chiamata così in memoria della suocera Anna di Capua: esiste tuttora a Fiumelatte, proprietà del signor Mario Oltolina di Asso.
Il palazzo di Bellagio sorgeva ove è l'attuale Villa Serbelloni; Ercole Sfondrati, nipote di Gregorio XIV, vi aveva costruito un castello, la cui proprietà pervenne per eredità sino al conte Carlo Sfondrati, che alla sua morte (1788) lo lasciò per amicizia al conte Alessandro Serbelloni.

BIBLIOGRAFIA


Manoscritti vari dell'Abbazia di Lenno, citati nel testo. «Larius - La città ed il lago di Como nelle descrizioni e nelle immagini dall'antichità classica all'età romantica» - Antologia diretta da G. F. Miglio e P. Gini, Torno II) Vol. I, Como 1966.
LELIA FRACCARO DE LONGHI, Chiese cistercensi, Milano 1958.
BALDUINO GUSTAVO BEDINI, Le abbazie cistercensi in Italia, Casamari 1966.
L. JANAUSCHEK, Originum cistercensium, Vienna 1877.
A. GIUSSANI, Il chiostro di Piona, Como 1929.

 



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