Arsenio da Trigolo, Alcune meditazioni in apparecchio alla S. Professione, Giorno 4°, Meditaz. 1a
    L'obbedienza non solo dev'essere pronta e puntuale, ma ancora allegra, cioè eseguir il comando con ilarità di spirito, assoggettando pienamente la nostra volontà a quella del Superiore, senza mostrare rincrescimento, né malavoglia, e senza mormorare, poiché altrimenti sarebbe più difetto che virtù. Se in ricevere il comando, dice S. Bernardo, incominci a mormorare internamente del tuo superiore, quantunque obbedisca, l'opera tua non è virtù, ma una veste sopraposta alla tua malizia, mentre obbedisci per farti vedere obbediente, ma in verità pecchi disprezzando quell'obbedienza in tuo cuore. Qual miseria vedere un Religioso che non fa volentieri se non quelle cose che ha domandato egli, o nelle quali si pasce l'amor proprio o soddisfazione sua! Così è; qualunque cosa ti venga imposta, ti piaccia o no, la devi sempre fare con volto allegro, senza mostrare il menomo rincrescimento. Anzi, quando ti comandano cose ripugnanti, devi startene più contento. Difatti in che consiste l'obbedienza, dov'è il suo merito se non nel soggettare la nostra volontà a quella del Superiore? Dunque dove più ripugnerà la tua sensualità nel fare la cosa comandata, sei sicuro di fare veramente l'obbedienza e di acquistare grandi meriti. Questo è l'alto grado di obbedienza e questo è esser vero religioso obbediente.
    [1v.] Oh! Come s'attrista il Superiore che per comandare deve prima indagare la volontà del suddito, per non vederlo poi ingrugnito e stizzoso! Questi religiosi un autore li chiama monstra diaboli, perché anche il demonio ubbidisce, ma a forza. Anzi, tali religiosi possono dirsi peggiori del demonio, perché questi non ha promesso a Dio obbedienza, come essi l'hanno promessa per voto. Difatti dove consiste l'obbedienza di questi religiosi? In fare solamente quelle cose che sono di loro genio, e quelle che non sono di loro genio farle di mala voglia, sì che si dà a conoscere anche esternamente. Qual luogo può mai stimarsi dato dall'obbedienza, di[ce] S. Bern[ardo], dove nell'obbedire non si vede che malcontento?
    Vuoi tu conoscere se sei vero obbediente? se la tua volontà è veramente morta? Guarda se obbedisci volentieri nelle cose ripugnanti all'amor proprio, allora sta' sicuro di fare l'obbedienza e la volontà di Dio anche in ciò cui ti senti inclinato. Ma se invece, nelle cose umili e contrarie al tuo amor proprio le fai quasi per forza, sta' in timore grande di non fare la volontà di Dio neanche nelle cose comandate che sono di tuo genio. Se vuoi perciò essere vero Religioso, prega il Superiore che ti comandi liberamente come meglio crede in Domino, e tu avrai maggior merito in tutti i suoi ordini che eseguirai. E così potrai stare sicuro di guadagnare ugualmente anche in quelle comandate che sono di tuo genio. Di qui potrai conoscere quanto malamente pensi quel religioso che crede di fare l'obbedienza facendo una cosa a comandargli la quale [2r.] ha indotto il Superiore con mille ragioni, poiché in tal caso non è il suddito che fa il volere del Superiore, ma sì il Superiore del suddito. Tieni bene in mente questa massima di S. Francesco di Sales, che il vero obbediente nulla domanda e nulla rifiuta. Così facendo avrai sempre consolazione di poter dire: io con far questo do gusto a Dio. E questo è l'unico mezzo se vuoi fare l'obbedienza con allegrezza, cioè far tutto per solo fine di dar gusto a Dio. Perché si legge di quei santi monaci de' primi tempi, che si assoggettavano con tanta allegrezza di spirito in cose ardue, difficili e ripugnanti? Perché avevano ben impresso il principio che obbedendo si fa la volontà di Dio, si dà gusto a Dio. Beato te, se ti persuaderai bene [di] questa verità. Per te l'obbedienza sarà continuo oggetto di pace e [di] consolazione. Più non proverai né ripugnanza né rincrescimenti; se alle volte si facesse sentire l'amor proprio e dovessi farti violenza, con qual contentezza non lo farai; al riflesso che così facendo dai gusto a Dio! Non operar mai per fini umani, né per dar gusto al Superiore o per l'approvazione degli uomini, o per aver lodi e simili; questo è l'inganno di molti religiosi che han sempre di mira di far piacere a Superiori o fratelli, credendo con ciò che anche Dio [sia] soddisfatto, - eccetto che ciò facciano per amore di Dio. Il tuo operare dunque sia sempre per dar gusto a Dio.
    Altri obbediscono volentieri solo quando è lor comandato con [2v.] belle maniere, e non ci accorgiamo che allora obbediamo all'uomo e non a Dio, mirando chi ci comanda e [non] quegli per [cui] ci viene comandato.
    Ora pensa un poco come è la tua obbedienza. Che se sei di quelli cui piace fare solo quello che lor aggrada, non sei vero religioso, vero seguace di Gesù Cristo. Come non obb[ed]ì egli fino alla croce, come vi si assoggettò con giocondità di spirito! Sentiva nella sua passione la ripugnanza, ma per dar gusto al suo Divin Padre con allegrezza obbedì.
    Perché alle volte ti sorprendono catti[vi] umori, noie della vita religiosa, etc.? Esaminati e troverai di non aver sempre cercato nell'obbedienza il dar gusto a Dio. Ti rimprovera il Superiore per non aver tu fatto bene qualche cosa; te ne rattristi, e perché? perché ti aspettavi la lode. Se invece nel far quella cosa, non avessi avuto di mira che il dar gusto a Dio, dato anche che il Superiore la biasimasse non te ne rattristeresti pensando di averla fatta per dar gusto a Dio; e [che] questa gli sia gradita non ne puoi dubitare: hilarem enim datorem diligit Deus [2 Cor 9,7].
    Ecco perché non avanziamo nelle virtù e non abbiamo quella ilarità nell'operare, perché cerchiamo la nostra soddisfazione e non solamente quella di Dio. Ecco perché tanti religiosi, dopo d'aver tanto faticato, si trovano al punto di morte colle mani vuote. Senno dunque, per non sentire il: Iam recepisti mercedem tuam.
<precedente