4.
Frate cappuccino
Forse su consiglio del beato Andrea
Carlo Ferrari, p. Arsenio, dopo essersi ritirato per alcuni giorni di esercizi
spirituali nel convento di piazzale Velasquez in Milano, a 53 anni, decise
di farsi cappuccino. Il 21 giugno 1902 vestì l’abito a Lovere ed
iniziò il noviziato. Allora l’anno di prova era molto rigido con
penitenze di ogni genere che non venivano risparmiate a nessuno. Ed egli
diceva a se stesso: "Comprendi un poco, o Arsenio, il gran mistero
che sei, chiedi al Signore la santa umiltà, e poi non vorresti le
umiliazioni. Che stramberia, che irragionevolezza è questa tua!
Vorresti il fine e non i mezzi. I mezzi per acquistare l’umiltà
sono le umiliazioni ed è mediante la ripetizione di queste che si
forma poi l’abito, la virtù dell’umiltà e così di
tutte le altre virtù morali. È come fare un abito: ci vuole
la stoffa e i punti; la stoffa può essere la volontà ossia
anche la virtù isolata, i punti la formano al tuo dosso".
(P 391/26/33 p. 12). Ritroviamo l’immagine dell’abito che abbiamo già
incontrato nella vita gesuitica, il che dice la coerenza della sua vita.
Quella di diventare cappuccino fu una
vera scelta, non un ripiego. Durante gli esercizi spirituali in preparazione
alla professione temporanea, che emise il 25 giugno 1903 (quella perpetua
il 25 giugno 1906), scriveva: "Ora rifletti un poco a’ casi tuoi.
Sei disposto a tutto questo? Pensa che la povertà è il distintivo
principale della religione che stai per abbracciare.
La povertà
serafica è povertà altissima, assoluta, senza eccezione
alcuna. Ogni minima cosa basta per contaminarla. Se osserverai e conserverai
con diligenza e premura la santa Povertà, sarai sempre buon Cappuccino,
se farai altrimenti è già segnata la tua rovina. Guai
al Cappuccino che non osserva la povertà!"
(P 391/21, 8v).
Dopo la professione semplice fu trasferito
al convento di Bergamo e si dedicò completamente all’apostolato:
predicazione, confessioni ed assistenza spirituale all’Ordine Francescano
Secolare fino al punto da essere definito "vero apostolo del Terz’Ordine
Francescano" (Annali Francescani 40 - 1909 - p. 210), come
era chiamato allora.
Continuava a predicare gli esercizi
spirituali, ma la sua predicazione aveva assunto alcune caratteristiche
particolari come scriveva nel 1903: "Insegnare e predicare cose praticabili
e non solo speculative o ammirabili" (P 392/26/33 p. 66).
Di quelli tenuti ai terziari di Brescia
nel mese di giugno 1907 è stato scritto: "In quest’anno essi
vennero impartiti dal reverendo padre cappuccino Arsenio da Trigolo. Con
modo facile e piano, con parola che sgorga spontanea dal cuore e scende
al cuore, egli richiamò le terziarie alla considerazione delle eterne
verità, le istruì sugli obblighi loro come cristiane e come
figlie di san Francesco" (Annali Francescani 38 - 1907-
p. 447). Quegli esercizi spirituali erano ricordati ancora l’anno successivo
quando scrivevano che le terziarie: "dopo questo corso di predicazioni
si sentirono vieppiù felici di appartenere ad un Ordine tanto ricco
di beni spirituali e vieppiù incoraggiate ad osservare la Regola
e ad attendere alla loro santificazione" (Annali Francescani
39 - 1908 - p. 89).
Egli stesso, scrivendo a suor Maddalena,
raccontava: "In questi giorni ho dato gli Esercizi alle carcerate
[di
Bergamo], quasi tutte giovani dai 23 ai 35, 40 anni, alcune già
condannate: il Direttore delle carceri dubitava molto che li facessero
bene; eppure la grazia del Signore lavorò così bene, ed esse
corrisposero così bene che restammo tutti meravigliati […]. Ecco,
vedi come il Signore [s’impegna] ad aiutare chi veramente lo serve bene"
(Lessi-Ariosto, p. 92).
Le confessioni erano tante, fino al
punto che in una lettera scrive: "Ora finisco perché sono
pien di gente che vuol confessarsi" (IVI, 92).
P. Arsenio non fu mai un colosso di
salute, ma verso la fine della vita alcuni disturbi diventarono più
insistenti. Nel 1908 scriveva alla solita suor Maddalena: "Ho fatto
anch’io le mie malattie: ho avuto tre forti sbocchi di sangue e ne ho avuto
per tre mesi, però non dai polmoni, ma da rottura di una piccola
vena, effetto di strapazzo: predicare e confessare…" (IVI, p. 90).
Ma nell’ultima lettera scritta alla stessa suora il 19 novembre 1909 aggiungeva:
"Ho
fatto scrivere da un mio Fratello che mi fa da segretario, perché
è già da un mese che ho un occhio paralizzato; sto curandolo
e sia fatta la volontà del Signore" (IVI, p. 91). E così
ci rivela lo spirito veramente cristiano con cui affrontava le sofferenze
fisiche.
Il 10 dicembre 1909 fu trovato morto
nella sua cella, colpito da aneurisma. La morte improvvisa non lo colse
impreparato. Egli aveva scritto nel 1886: "Vuoi morir da santo? ebbene
vivi da santo secondo il tuo stato di religioso. Sii santo negli sguardi,
santo nei discorsi, santo nell’udito, nel tratto, nel gusto, nel tatto;
in breve sii perfetto nell’uso dei tuoi sensi. Santo nell’obbedienza, santo
nell’adempimento de’ tuoi doveri e voti e allora certo morrai da santo.
Poiché non viver da santo e sperar morir da santo è un vero
paradosso, un assurdo, un voler il fine senza i mezzi" (P 391/18
p. 27-28).
Il giorno successivo alla morte il
vescovo di Bergamo mons. Giacomo M. Radini Tedeschi scriveva al superiore
dei cappuccini: "Il p. Arsenio, la cui morte inaspettata venne ieri
a mia notizia, ha fatto tanto bene nella mia Diocesi, che io non posso
dispensarmi dall’esprimere a cotesta Comunità il mio più
vivo rimpianto, che la prego partecipare ai suoi degni Confratelli. La
prego farmi sapere quando avranno luogo i funerali perché desidero
farmi rappresentare ad essi".
P. Arsenio fu sepolto nel cimitero
di Bergamo.
Nel
1940 i suoi resti furono portati a Cepino Imagna e nel 1953 furono ricomposti
nella cappella della casa madre in via Melchiorre Gioia a Milano.
La sua memoria non si è mai
spenta, ma solo un po’ affievolita. Le sue suore tornando alle fonti della
propria spiritualità, secondo il forte richiamo del Concilio Vaticano
II, hanno riscoperto il loro fondatore e la ricchezza dei suoi insegnamenti.
Di nuovo il Signore vuole mettere in luce la sua pietra, vuole che la Chiesa
riconosca la sua esperienza spirituale come modello per raggiungere la
beatitudine eterna. Ciò tornerà a vantaggio delle sue suore
e dei suoi confratelli cappuccini, ma farà tanto bene anche a tutte
le anime che lo conoscono o si avvicinano a lui.